Beni ecclesiastici

Aperti al Mab: Serge Noiret (Aiph), “public history per promuovere patrimonio culturale e interpretare società”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Come storici dobbiamo occuparci della comunicazione, solo così potremmo avere un impatto sulla comunità. E la public history può restituire agli storici e alla storia un ruolo centrale nell’interpretazione della società contemporanea e costruire reti per promuovere il patrimonio culturale”. Ne è convinto Serge Noiret, presidente dell’Associazione italiana di public history (Aiph), intervenuto alla sessione plenaria della Giornata inaugurale dell’iniziativa “Aperti al Mab” (3–9 giugno) in corso a Roma. Noiret illustra obiettivi e metodi della public history che, in Italia e nel mondo, “utilizza da tempo diversi media, metodi e forme di narrazioni del passato che si traducono in progetti nei quali la storia si racconta e si comunica con e per pubblici diversi”. In questo modo le comunità valorizzano sul territorio “il loro patrimonio culturale, materiale e immateriale e s’interrogano su quello che definisce le loro identità collettive tra storia e memoria”. “Fare”, spiega Noiret, “è il verbo della public history” che, intesa come “processo applicato per fare storia con e per il pubblico, indaga memorie individuali e collettive nel presente e si definisce sul proprio territorio secondo i tratti caratteristici di quest’ultimo”. Noiret richiama il manifesto elaborato dall’Associazione di cui è presidente: “L’obiettivo è proporre una storia utile nel presente, in grado di sviluppare nella comunità una cultura civica e di partecipazione”. E se la public history ha “metodi e canoni istituzionalizzati”, “public historian” è chi opera nelle istituzioni culturali (musei, archivi, biblioteche), nei media, nell’industria culturale e del turismo, nelle scuole, nel volontariato culturale e di promozione sociale. Ma anche “gli storici universitari che hanno scelto la public history come tema di ricerca e insegnamento o che interagiscono con pubblici esterni alla comunità accademica” per fare “storia che si comunica ai cittadini e alle comunità”.