“Fa troppo caldo. Parlano lingue incomprensibili. C’è sempre la guerra. Chissà poi cosa si mangia e ci sono solo tante chiese”. Sono alcuni dei pregiudizi che girano intorno alla Terra Santa e che Giorgio Bernardelli, giornalista della rivista del Pime “Mondo e Missione” e del sito Mondoemissione.it, tenta di sfatare nel suo libro, in uscita il 20 giugno, intitolato “Preferivo le cipolle. Dieci obiezioni (da sfatare) a un viaggio in Terra Santa” (Edizioni Terra Santa, Milano 2019). Una vera e propria “guida dei perplessi”, come la definisce l’autore, profondo conoscitore del Medio Oriente, utile a “sviscerare quei luoghi comuni, a volte anche un po’ banali, che remano contro un pellegrinaggio e che invece non hanno proprio nulla a che fare con la realtà che si incontra davvero in Israele e in Palestina”. Per Bernardelli “il piatto forte di un pellegrinaggio a Gerusalemme non sono i posti da vedere o i riti da celebrare; è l’aiuto che questa esperienza ci può dare nell’assegnare il giusto valore alle cose. Una settimana vissuta con il Vangelo in mano nei luoghi di Gesù spinge infatti a tirarci fuori dal nostro guscio dove non lasciamo più entrare una parola, una persona, nemmeno un dono caduto dal cielo”. Dieci luoghi comuni, uno per ogni capitolo del libro – “In Terra Santa fa troppo caldo”, “In Terra Santa si va in un Paese sottosviluppato”, “In Terra Santa ci sono solo tante chiese”, “In Terra Santa c’è la guerra”, “Gli ebrei non sono ospitali”, “Gli arabi sono violenti”, “In Terra Santa anche i cristiani litigano”, “In Terra Santa si viaggia sul cammello”, “In Terra Santa si parlano lingue incomprensibili”, “In Terra Santa chissà che cosa si mangia” -, che scoraggiano i pellegrini. Sfatando i preconcetti, l’autore fa emergere “il ritratto, serio e ironico, di una terra dai volti sorprendenti, che spiazza e affascina il viaggiatore. “Non è un posto che fa per me”, si sente spesso dire quando si parla della Terra Santa ma il monito di Bernardelli non lascia dubbi: “Lascia perdere attentati, botte di calore o incidenti; l’unico pericolo vero che corri andando in giro per una settimana tra Nazaret, Betlemme e Gerusalemme è che Dio si faccia vivo nella tua vita”. Così il temuto caldo (e la sete), nel libro, viene descritto come “elemento che può aiutare a calibrare i ritmi” del pellegrinaggio perché “fa gustare con sapore nuovo la Parola ‘venite a me voi che siete affaticati e oppressi’”. La presenza di tante chiese (e non solo) “spiega l’importanza dell’archeologia che aiuta a capire quanto i Vangeli raccontano su Gesù”. Per quanto “tosta” il libro smonta anche l’obiezione “C’è sempre la guerra”: il conflitto è “lontano” dai luoghi dei pellegrini che “mai sono rimasti coinvolti”. I 4 milioni di turisti da tutto il mondo che arrivano “in questo angolo del mondo” non sono tutti “incoscienti con l’elmetto nello zaino”. Ebrei inospitali? “Provate a osservare da vicino l’ebraismo che vive in Israele”, suggerisce Bernardelli che pareggia il consiglio invitando a guardare anche “il volto arabo della Terra Santa” magari usando la parola “shukran” (grazie), chiave per capire che “l’ospitalità non è una leggenda metropolitana in Oriente”. E così via per tutti i capitoli del volume. “Non so se attraverso queste pagine sono riuscito sul serio a convincere qualcuno a partire per Gerusalemme – scrive l’autore nella conclusione -. Ho qualche dubbio che basti così poco. Spero però almeno di aver suscitato qualche curiosità in più, la voglia di guardare dentro con occhi un po’ diversi all’esperienza di un pellegrinaggio in Terra Santa”. “Per il resto stai tranquillo”, avverte Bernardelli, “nel cristianesimo non c’è nessun precetto che chieda espressamente di compiere nella vita un viaggio a Gerusalemme; si diventa santi anche senza, non devi sentirti in obbligo. Proprio qui, però, sta la bellezza di quest’esperienza: è una scelta di libertà, come il cammino dell’Esodo”.