Riepilogo

Sir: principali notizie dall’Italia e dal mondo. Ballottaggi, Ferrara vira a destra, Livorno torna a sinistra. Moldova, deposto il presidente

Politica: ballottaggi, vota solo un elettore su due. Ferrara e Potenza alla Lega, Livorno al Pd

Votanti in forte calo ai ballottaggi amministrativi svoltisi ieri in Italia: ai seggi s’è recato un elettore su due. Sui risultati qualche sorpresa (Ferrara al centrodestra) e alcuni ritorni (Livorno al centrosinistra); il M5S prende la guida di Campobasso. Il leader del Carroccio Matteo Salvini esalta le “straordinarie vittorie della Lega ai ballottaggi”; “abbiamo eletto sindaci dove governava la sinistra da settant’anni”. Soddisfatto si dice anche il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, il quale parla di “belle vittorie e belle conferme”, per poi ribadire che l’“alternativa a Salvini c’è ed è un nuovo centrosinistra”. Tra le sorprese Novi Ligure e Biella passano a destra, mentre la sinistra mantiene Reggio Emilia, Cesena, Cremona e Prato. A Potenza il sindaco sarà un leghista.

Cronaca: Milano, litigio in casa, guardia giurata spara e ferisce il figlio della compagna

Una guardia giurata nel corso di un litigio ha sparato al figlio 13enne della sua nuova compagna ferendolo al braccio non in modo grave. È accaduto a Milano, in via Marco Aurelio. L’uomo, Angelo Di Matteo di 45 anni, è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio. Secondo le prime informazioni, il colpo esploso lo avrebbe raggiunto il ragazzino al bicipite del braccio destro. Nella ricostruzione dei carabinieri, il 13enne sarebbe intervenuto durante una discussione tra la madre e il suo nuovo compagno nel tentativo di difendere la donna. Durante la lite sarebbe partito il colpo che ha ferito il giovane al braccio. Il vigilantes sarebbe stato ubriaco.

Moldova: deposto il presidente Dodon. Al potere l’ex primo ministro Filip. Rischio guerra civile

La corte suprema della Repubblica di Moldova ha sospeso ieri il presidente Igor Dodon; al suo posto, ad interim, è arrivato l’ex primo ministro Pavel Filip del partito democratico, che, preso il potere, ha annunciato lo scioglimento delle camere e indetto elezioni anticipate per il 7 settembre. Proprio Filip, mentre i suoi supporter manifestavano nelle vie della capitale a migliaia, ha organizzato la deposizione con l’accusa all’ex presidente Dodon, di non aver sciolto il parlamento come avrebbe dovuto visto che gli eletti non avevano trovato entro il termine di legge del 7 giugno una maggioranza e un primo ministro. Fatto che in effetti è accaduto solo l’8 giugno, quando dopo 5 mesi di stallo dopo le elezioni di febbraio, la prima ministra civica Maia Sandu ha giurato supportata dal blocco pro-europeo Acum e dai socialisti filorussi, tutti interessati a estromettere gli oligarchi di prima, guardando con favore a Bruxelles. Ma il giuramento di Maia Sandu non è accettato dal partito democratico e dal suo leader, il tycoon filantropo accusato di corruzione dagli avversari politici Vladimir Plahotniuc. Gli osservatori parlano di rischio guerra civile, con, in più, una forte “attenzione” del vicino russo.

Regno Unito: partito conservatore, via all’iter per la premiership. In corsa Johnson, Gove, Javid

Prende avvio il lungo iter per la designazione del nuovo leader del partito conservatore e prossimo premier britannico al posto della dimissionaria Theresa May. Il candidato favorito dei conservatori è Boris Johnson: si dice di essere l’unico in grado di vincere la sfida con i laburisti di Jeremy Corbyn e il Brexit Party di Nigel Farage. Il suo rivale più diretto è il ministro dell’agricoltura Michael Gove, che resta un brexeteer pragmatico. Nella corsa alla premiership si fa largo anche l’attuale ministro degli Interni, Sajid Javid, uno dei primi sostenitori della necessità di un referendum sull’Europa. I conservatori dovranno votare per scegliere il sostituto della May giovedì 13 giugno.

Costa d’Avorio: “Spaghetti connection”, operazione antidroga, tra i fermati 6 italiani

Ci sarebbero anche esponenti della ‘ndrangheta e della camorra tra i 10 arrestati nell’ambito di una operazione contro il narcotraffico condotta dalle forze dell’ordine della Costa d’Avorio e che ha coinvolto anche le polizie di Francia, Italia, Brasile. Si tratta della spedizione dei 1200 chili di cocaina sequestrati a settembre dell’anno scorso nel porto di Santos, in Brasile, e diretti ad Abdjan nascosti in un container con attrezzature da cantiere. In seguito il carico – comprato in America latina per 2,5 milioni di euro ma dal valore di 250 milioni di euro una volta giunto sui mercati dello spaccio – avrebbe dovuto prendere la rotta dell’Europa e finire in Calabria. L’operazione, battezzata “Spaghetti connection”, è stata illustrata in una conferenza stampa ad Abdjan. “Gli arresti sono stati compiuto lo scorso 6 giugno”, ha detto Adorno Bonaventure, direttore dell’Unità di lotta al crimine transnazionale, “e hanno riguardato 10 sospetti: 6 italiani, un franco-turco e tre cittadini ivoriani, tra i quali due donne”. Si tratta della terza grande operazione contro il narcotraffico portata a termine in Costa d’Avorio in meno di tre anni.

Hong Kong: manifestazione popolare, un milione in piazza. Scontri con la polizia, pressioni dalla Cina

Scontri a Hong Kong nel corso della manifestazione di ieri contro la proposta di legge sull’estradizione in Cina, sollecitata da Pechino, la cui approvazione è prevista per mercoledì. La polizia è intervenuta per disperdere i dimostranti usando manganelli e spray urticanti contro la folla, un milione di persone secondo gli organizzatori. I manifestanti hanno lanciato bottiglie incendiarie ed eretto barricate. “Il popolo di Hong Kong vuole proteggere la sua libertà, la libertà di parola, lo stato di diritto, il sistema giudiziario e anche la propria base economica, che accoglie gli investitori internazionali. Se questi perdessero la fiducia nei confronti di Hong Kong, anche Hong Kong economicamente verrebbe distrutta”, spiega a Euronews Lee Cheuk-yan, ex legislatore e attivista. In base al modello “un Paese, due sistemi” concordato nel 1997 al momento del passaggio dalla Gran Bretagna alla Cina, ad Hong Kong è stato garantito il diritto di mantenere per 50 anni i propri standard politici, sociali e legali. Ma l’erosione dei margini decisionali, da parte di Pechino, appare costante.