Progetto europeo Mind

Migrazioni: Forti (Caritas italiana), “dalla rotta dei Balcani passato un milione di persone”. Mons. Seccia (Lecce), “rispetto della loro dignità”

“La vera sfida a livello europeo è quella di attuare politiche migratorie e di sviluppo capaci di massimizzare le ricadute positive che queste possono avere nelle società di arrivo e negli Stati di origine della migrazione”. È quanto si legge nel Rapporto “Common Home”, realizzato nell’ambito del progetto europeo Mind, che analizza la relazione tra immigrazione e sviluppo nei paesi di accoglienza, e presentato oggi al Sabir Festival, promossa da Arci assieme a Caritas Italiana, Acli e Cgil, che si conclude domani a Lecce. “La mobilità umana rappresenta oggi certamente una grande opportunità per lo sviluppo non solo dell’Ue ma anche dei paesi più poveri da dove provengono i migranti – continua il testo -. Una simile opportunità non può essere colta costruendo barriere intorno all’Europa, ma solo attraverso la presa di coscienza del possibile beneficio apportato dagli immigrati e l’applicazione di politiche basate sul binomio migrazione/sviluppo”. Per Oliviero Forti, responsabile delle Politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana, “gli spazi di confronto si stanno sempre più riducendo”. “Per questo il Festival Sabir è sempre più importante: per raccontarsi e per raccontare cosa sta accadendo. Nella sola rotta dei Balcani negli ultimi anni sono passati oltre 1 milione di persone, le cui storie rischiano di passare in secondo piano rispetto alla drammatica attualità di altri flussi migratori, anche a fronte della conoscenza di una sistematica violazione dei diritti umani”. Per l’arcivescovo di Lecce, mons. Michele Seccia, “ognuno deve essere accolto nella sua dignità e con le migliori intenzioni”. “La dignità delle persone umane in particolare non è contrattabile e non dobbiamo farci condizionare dalle paure. Anche se ci devono essere il rispetto delle regole e delle identità, questo non può essere fatto in modo ricattatorio o persecutorio, ma occorre sempre rimettere al centro l’accoglienza”.