Migranti
(Milano) “Non dimenticherò mai gli occhi delle prime persone che siamo riusciti a far partire dell’Etiopia nel momento in cui gli abbiamo detto che sarebbero partite”. Alganesh Fessaha di origine eritrea, da quarant’anni in Italia, è fondatrice e presidente della Ong Ghandi, per anni impegnata nel portare aiuto ai migranti sulla rotta del Sinai e referente in Etiopia per i corridoi umanitari promossi da Caritas Italiana. Alganesh ha raccontato le torture dei migranti, per lo più eritrei, imprigionati nel Sinai e venuti da un gruppo di trafficanti ad un altro. “Venivano presi e torturati, le donne violentate – racconta la presidente dell’Ong Ghandi – e questo spesso avveniva mentre i loro carcerieri telefonavano ai parenti così da far sentir loro le urla e chiedere più soldi per la liberazione”. Alla tavola rotonda organizzata all’Università Cattolica era presente anche Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi (Istituto di Studi per la Politica Internazionale). “Prima di tutto – ha detto Villa – dobbiamo renderci conto che la quasi totalità dei migranti che arrivano in Italia via mare dalla Libia ha subito traumi e questo rappresenta un ostacolo nel loro percorso di integrazione. Sono persone che hanno bisogno di essere aiutate e seguite perché questi traumi possano essere superati”. È proprio guardando alle conseguenze dei viaggi sulla pelle dei migranti che il ricercatore vede il “valore e l’importanza dei canali legali”, pur non nascondendo alcuni rischi. “Non dobbiamo dimenticare che i corridoi umanitari rappresentano una goccia nel mare – ha spiegato Villa – e non possono per questo diventare un alibi per giustificare una chiusura ulteriore dei canali di accesso in Italia e in Europa”. Per lui è necessario tornare ad offrire altre strade, a partire dai permessi di lavoro. “Nel 2017 – conclude l’analista – abbiamo avuto 15mila ingressi in Italia per motivi di lavoro e 150mila per protezione internazionale. Dieci anni prima il dato era capovolto”. Per questo è necessario che “la politica torni ad offrire opportunità di migrazioni legali lasciando i corridoi alle persone con vulnerabilità”.