Primo rapporto

Corridoi umanitari: 500 rifugiati accolti in 47 diocesi. “Incrementare vie legali d’ingresso”

500 persone accolte in Italia tramite i corridoi umanitari, tra cui 106 nuclei familiari e 200 bambini. 47 diocesi impegnate nell’accoglienza in 17 Regioni e 87 Comuni. Oltre 700 operatori, famiglie e volontari coinvolti, tra cui 58 famiglie tutor. Sono profughi tra i più vulnerabili provenienti da Eritrea, Sud Sudan, Somalia, Siria e Iraq con alle spalle storie dure di persecuzioni, violenze, tratta, guerra. Molti di loro erano da anni nei campi profughi in Etiopia, Giordania e Turchia, senza la possibilità di tornare a casa e senza possibilità di futuro. A distanza di due anni dalla sottoscrizione del Protocollo tra la Cei e il governo italiano, con la collaborazione della Comunità di Sant’Egidio e il ruolo operativo svolto dalla Caritas, il 97% delle persone ha ottenuto lo status di rifugiato e il 3% la protezione sussidiaria. Tutti i minori in età scolare sono stati inseriti a scuola. Il 30% dei beneficiari è inserito in corsi di formazione professionale e 24 hanno già trovato un impiego. Sono alcuni dei dati che emergono dal primo rapporto sui corridoi umanitari in Italia “Oltre il mare” presentato oggi a Milano, nell’Aula Magna dell’Università Cattolica. Presente, tra gli altri, l’arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini. L’esperienza di questi due anni dimostra che si può “spezzare l’attuale circolo vizioso in corso: le politiche restrittive di molti Paesi europei contribuiscono ad alimentare gli ingressi irregolari e di conseguenza l’ostilità da parte della società che accoglie”. Al contrario, i corridoi umanitari favoriscono i percorsi di integrazione delle persone attraverso il coinvolgimento di diversi soggetti nei territori. Sono stati accolti dalle Caritas diocesane secondo un modello che ha coinvolto le diocesi, le famiglie, singoli cittadini, le comunità locali. I richiedenti asilo hanno avuto a disposizione vitto, alloggio, corsi di lingua, iscrizione scolastica, assistenza sanitaria e psicologica nei casi di vulnerabilità rilevati, assistenza legale e amministrativa, avviamento all’inserimento lavorativo. L’appello all’Europa e ai singoli Stati membri è chiaro: “Per affrontare il complesso fenomeno migratorio attuale non ci si può fermare a consegnare la questione nelle mani dei Paesi di origine e di transito”, come sta avvenendo ora con l’esternalizzazione delle frontiere in Libia, in Marocco, in Niger, in Turchia, eccetera. “Sono necessarie alternative credibili ai viaggi illegali che garantiscano la sostenibilità dell’accoglienza attraverso il coinvolgimento delle comunità locali, per puntare all’autonomia dei beneficiari e alla coesione sociale”. Tra le raccomandazioni finali, “la necessità di incrementarne il numero e di uniformare le diverse esperienze avviate nei vari Paesi europei”.