
“Fare Pasqua significa cambiare dentro: questo evento non mancherà di avere riflessi fuori. E ogni conquista nel bene arricchisce l’intera umanità, così come ogni cedimento al male impoverisce tutta la storia”. Lo scrive l’arcivescovo de L’Aquila, il card. Giuseppe Petrocchi, nel messaggio alla comunità ecclesiale per la Pasqua 2019.L’annuncio che “Cristo, nostra Pasqua, è risorto!” – garantisce – “ha la forza di cambiare ‘dalle fondamenta’ la nostra vita”. “Basta accoglierlo e viverlo”, ammonisce il cardinale, evidenziando che “è una notizia che dovrebbe scuoterci dal nostro torpore esistenziale e metterci in atteggiamento di ascolto attento, ma rischiamo di rimanere avvolti in una indifferenza apatica – refrattaria alla novità dell’annuncio -, perché colpiti ‘dalla sindrome da assuefazione’ (causata dal ‘già noto’) e fortemente anestetizzati dalle massicce dosi di ‘mentalità-mondo’ che ogni giorno assorbiamo”.
“Facendo Pasqua, il discepolo di Gesù impara a non rispondere al male con il male, ma diventa capace di vincere il male con il bene: anzi progressivamente esercita l’arte di ricavare il bene dal male, prosegue Petrocchi, osservando che “talvolta Dio scrive una storia, che non è quella che noi avremmo voluto leggere, ma sapendolo Padre, occorre chiedersi: quale è il dono che ha ‘nascosto’ nell’evento doloroso?”. “Non dobbiamo ‘inventare’ il significato, ma scoprirlo dentro gli avvenimenti. Il seme della risurrezione c’è già, in ogni situazione. Non sta a noi, dunque, piantarlo, ma riconoscerlo e farlo germinare”.
Il cardinale ricorda poi che “ricorre, in questo periodo, il 10° anniversario del sisma”. “È tempo non solo del ricordo, ma della memoria” che “è custodia di ciò che è già avvenuto, ma che resta presente: implica, pertanto, un’attiva ‘contemporaneità’”. “Le vittime del terremoto – assicura Petrocchi – abitano stabilmente nella nostra memoria: non sono dunque persone ‘scomparse’ e i loro volti non sono destinati a dissolversi con il passare degli anni. Non ci hanno ‘lasciato’, ma restano con noi: come preziosi compagni di viaggio. Tra loro e noi si conserva, più forte della morte, il vincolo della reciproca preghiera e della comunione, che essendo vissuta in Dio, è eterna. Ogni atto di amore, infatti, se vissuto nel Signore, è timbrato indelebilmente dal ‘per sempre’!”.