Secondo un’autorevole ricerca, circa 1,8 milioni di posti di lavoro saranno spazzati via entro il 2020, ma ne verranno creati oltre 2,3 milioni. Spariranno i lavori ripetitivi e quelli a rischio, fisicamente dannosi o pericolosi per l’uomo, in particolare quelli che lo espongono a sostanze chimiche tossiche. Tuttavia, l’impatto della robotica e dell’automazione sul mercato del lavoro è oggetto di dibattito nell’opinione pubblica. Lo dice in un’intervista al Sir Marita Carballo, presidente della Academia Nacional de Ciencias Morales y Políticas de l’Argentina e della World Association of Public Opinion and Research (Wapor), Da un lato, “i pessimisti vedono la rivoluzione tecnologica come una minaccia e anticipano che la rivoluzione digitale porterà inesorabilmente alla distruzione di posti di lavoro”; sul fronte opposto “gli entusiasti – soprattutto in Scandinavia e Germania – sostengono che verranno creati più posti di lavoro, mentre le mansioni ripetitive e rischiose e dannose per la salute dell’uomo verranno svolte da robot”. Certamente, chiosa Carballo, “le classi più vulnerabili, più povere e con un basso livello di istruzione sono esposte al rischio perdere il lavoro”. Nello scenario della rivoluzione tecnologica 4.0 e della AI, la sociologa ritiene necessario “implementare codici etici per progettisti e produttori di robot”, ma è indispensabile “una riflessione e un’analisi interdisciplinare delle conseguenze psicologiche, culturali, sociali e politiche della robotica sulla società”. “Dobbiamo inoltre evitare – ammonisce – l’inasprimento delle disuguaglianze, l’approfondimento del gap tra ‘inclusi’ ed ‘esclusi’. Per questo è urgente un investimento globale in educazione e formazione per qualificare e professionalizzare i soggetti ‘tecnologicamente vulnerabili”‘. Un’operazione “i cui risultati si vedranno nel medio periodo”. Robotica e AI “non sono né buone né cattive in sé. Certamente hanno trasformato e continueranno a trasformare velocemente l’ambiente i cui viviamo mentre noi siamo molto lenti nel decidere come regolarle e orientarle. Ma la domanda cruciale rimane sempre la stessa: su quali valori vogliamo costruire le nostre società? E la risposta – conclude – deve nascere da un serio confronto tra voci, sguardi, sensibilità e culture diverse per arrivare a generare un consenso che porti ad un’azione condivisa tra governi, mondo accademico, imprese e società civile”.