Il futuro presente/5

Intelligenza artificiale: Carballo (Wapor), “investire in formazione per superare gap tra inclusi ed esclusi. Che società vogliamo costruire?”

Secondo un’autorevole ricerca, circa 1,8 milioni di posti di lavoro saranno spazzati via entro il 2020, ma ne verranno creati oltre 2,3 milioni. Spariranno i lavori ripetitivi e quelli a rischio, fisicamente dannosi o pericolosi per l’uomo, in particolare quelli che lo espongono a sostanze chimiche tossiche. Tuttavia, l’impatto della robotica e dell’automazione sul mercato del lavoro è oggetto di dibattito nell’opinione pubblica. Lo dice in un’intervista al Sir Marita Carballo,  presidente della Academia Nacional de Ciencias Morales y Políticas de l’Argentina e della World Association of Public Opinion and Research (Wapor), Da un lato, “i pessimisti vedono la rivoluzione tecnologica come una minaccia e anticipano che la rivoluzione digitale porterà inesorabilmente alla distruzione di posti di lavoro”; sul fronte opposto “gli entusiasti – soprattutto in Scandinavia e Germania – sostengono che verranno creati più posti di lavoro, mentre le mansioni ripetitive e rischiose e dannose per la salute dell’uomo verranno svolte da robot”. Certamente, chiosa Carballo, “le classi più vulnerabili, più povere e con un basso livello di istruzione sono esposte al rischio perdere il lavoro”. Nello scenario della rivoluzione tecnologica 4.0 e della AI, la sociologa ritiene necessario “implementare codici etici per progettisti e produttori di robot”, ma è indispensabile “una riflessione e un’analisi interdisciplinare delle conseguenze psicologiche, culturali, sociali e politiche della robotica sulla società”. “Dobbiamo inoltre evitare – ammonisce –  l’inasprimento delle disuguaglianze, l’approfondimento del gap tra ‘inclusi’ ed ‘esclusi’. Per questo è urgente un investimento globale in educazione e formazione per qualificare e professionalizzare i soggetti ‘tecnologicamente vulnerabili”‘. Un’operazione “i cui risultati si vedranno nel medio periodo”. Robotica e AI “non sono né buone né cattive in sé. Certamente hanno trasformato e continueranno a trasformare velocemente l’ambiente i cui viviamo mentre noi siamo molto lenti nel decidere come regolarle e orientarle. Ma la domanda cruciale rimane sempre la stessa: su quali valori vogliamo costruire le nostre società? E la risposta – conclude – deve nascere da un serio confronto tra voci, sguardi, sensibilità e culture diverse per arrivare a generare un consenso che porti ad un’azione condivisa tra governi, mondo accademico, imprese e società civile”.