
“Nonostante l’organizzazione faticosa delle nostre parrocchie e l’impegno che mettiamo dentro le ‘mille cose da fare’, abbiamo ancora fame. Siamo insoddisfatti: né le cose che facciamo né tantomeno la vita che conduciamo sembrano bastarci”. Lo ha detto il card. Angelo De Donatis, nel suo intervento al tradizionale incontro di Quaresima del Papa con il clero romano, a S. Giovanni in Laterano. “Solo Dio e la sua Parola, solo il regno di Dio e la sua giustizia, sono in grado di nutrirci il cuore”, si legge nel testo della sua meditazione, inviato poco fa al Sir: “Di fronte alle urgenze del presente, che mettono in evidenza la nostra inadeguatezza, ci accontentiamo delle cose sempre fatte, ben collaudate, soprattutto perché ci garantiscono un certo grado di gratificazione e di riconoscimento da parte degli altri; ci limitiamo al ‘minimo indispensabile’: la messa celebrata dignitosamente, un po’ di tempo per le confessioni, il catechismo dei bambini, i pacchi del centro di ascolto caritas, la cura delle poche persone che conosciamo bene… ‘che altro si pretende da me, di questi tempi?’ oppure ci facciamo prendere dalla necessità urgente di provvedere a far funzionare la ‘macchina organizzativa’ della parrocchia, sia dal punto di vista amministrativo che gestionale: facciamo come Marta che rivendica il diritto-dovere per sé (e lo vorrebbe imporre a sua sorella!) di stare in cucina, perché ‘ci vuol pure qualcuno che si occupi di queste cose!'”. “Di fronte ad un mondo sempre più ostile e ad una comunità parrocchiale sempre più deludente, perché complicata e litigiosa, ci rifugiamo nell’appartenenza ad un gruppo o ad una realtà ecclesiale dove ci sentiamo più a nostro agio, perché più affine alla nostra sensibilità, o più in linea con le nostre idee”, il “mea culpa di De Donatis: “Ci sdoppiamo: da una parte il ministero pastorale, in cui stringiamo i denti e ci sforziamo di fare ogni cosa per bene, persino in maniera inappuntabile; dall’altra la nostra vita privata, a cui dedichiamo sempre più tempo, che difendiamo gelosamente dagli attacchi delle richieste del Popolo di Dio, in cui ci nutriamo del cibo del relax, del benessere individuale, della dieta e dello sport per “scolpire” un po’ il corpo…”. Il Signore, invece, “ci chiama al rischio della fame, all’avventura della pazienza dei tempi lunghi, all’inedito dei cammini mai esplorati prima, alla nudità dei vestiti troppo pesanti che bisogna togliersi per camminare più speditamente. Con il Signore si piange e si gioisce, si sperimenta successo e delusione, si cresce attraverso la fatica e la sofferenza, il riposo e la consolazione. Con il Signore non ci si ciba di tutto: solo di quello che ha il sapore della libertà. Di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio”.