Convegno

Europa: card. Bagnasco, “vescovi europei credono nell’Europa”. “Rilanciare la sua soggettività sociale”

“I vescovi europei credono nell’Europa; la Chiesa in Europa crede al Continente e a un suo cammino di unità, che deve essere, come tutte le cose vive, continuamente monitorato e serenamente esaminato, per riconoscere gioiosamente i frutti positivi e per riconoscere altrettanto serenamente e fiduciosamente le difficoltà e i successi, perché tutto questo ci permette di guardare al futuro senza arrenderci di fronte ad alcune fatiche del presente”. Lo ha affermato martedì il card. Angelo Bagnasco, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, nel corso dell’incontro “Dove va l’Europa?”. Il testo dell’intervento è stato reso pubblico oggi dall’Ufficio per le comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Genova.
Per l’arcivescovo, “potremmo dire, in modo molto sintetico, che bisogna rilanciare la soggettività sociale dell’Europa non solo come Unione Europea, ma come Continente ‘dall’Atlantico agli Urali’, come lo definiva San Giovanni Paolo II”. “Questo – ha precisato – è il grande continente europeo, che, prima di essere una entità geografica, è una realtà spirituale e culturale”. “Rilanciare una soggettività sociale – ha proseguito il porporato – richiede il rilancio di una soggettività di popoli, una consapevolezza di ciò che sono, in un rapporto dialettico, dinamico e virtuoso, che caratterizza il particolare rispetto all’universale e viceversa. Non c’è nessuna soggettività collettiva, sociale e continentale senza soggettività di popoli e di nazioni nel senso vero e alto della parola”.
Bagnasco si è poi soffermato sul fatto che “la pietra angolare dell’edificio” europeo “non è l’economia, non è la finanza, non è la difesa, che sono pietre secondarie. La pietra angolare è l’uomo”. Il cardinale ha concluso evidenziando che “forse, oggi, il grande concetto di nazione è da ripensare”. “Un’identità nazionale – ha precisato – è sempre più vera, quanto più include l’apertura alle altre realtà e alle altre soggettività”; per questo “non è chiusura esclusiva, ma va intesa a partire da noi stessi, dalle nostre storie e dalle nostre radici, per poter dialogare e parlare con chiunque”.