Religiosi

Motu proprio “Communis vita”: mons. Carballo (Santa Sede), “casi di assenza illegittima” tra le “difficoltà” della vita religiosa

Tra le “difficoltà che si riscontrano” nella vita religiosa ci sono “i casi di assenza illegittima dalla comunità”. A farlo presente è mons. José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita apostolica, in un articolo esplicativo della lettera apostolica in forma di Motu Proprio “Communis vita”, emanata dal Papa e diffusa oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede. La lettera del Papa, spiega Carballo, “ha modificato il can. 694 del Codice di Diritto Canonico”, inserendo al paragrafo uno “un terzo motivo di dimissione ipso facto dall’Istituto Religioso: l’assenza illegittima dalla casa religiosa protratta, ai sensi del can. 665§2, per dodici mesi ininterrotti, tenuta presente l’irreperibilità del religioso stesso. Tale motivo si aggiunge agli altri due già presenti, cioè l’abbandono in modo notorio della fede cattolica e l’aver contratto matrimonio oppure averlo attentato, anche solo civilmente”. Nel Motu Proprio, inoltre, Francesco precisa, aggiungendo il paragrafo tre, “la procedura da seguire nel nuovo motivo di dimissione, integrando quella già descritta al §2 del medesimo canone, rimasto invariato”. Tale modifica, spiega Carballo, “favorisce la soluzione di particolari situazioni legate al tema dell’assenza illegittima di un religioso dalla casa religiosa, con particolare riferimento ai religiosi che a volte non possono essere rintracciati. Fattispecie che l’esperienza di questa Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, nel quotidiano esercizio dei suoi compiti, ha particolarmente rilevato negli ultimi anni”. “Si tratta per lo più di membri di istituti religiosi, maschili e femminili, che senza il consenso dei superiori, si sono allontanati illegittimamente dalla casa religiosa sottraendosi alla potestà del legittimo superiore”, precisa Carballo: “Sodali che, avendo ottenuto un permesso di assenza temporaneo o la concessione dell’indulto di esclaustrazione non hanno fatto ritorno in comunità, ponendosi in uno stato di assenza illegittima; o chi, al termine del tempo concesso dall’indulto di esclaustrazione o terminata la necessità che lo giustificava, non sono rientrati in comunità. Tutti costoro, non avendo chiesto la dispensa dai voti – alle volte anche sollecitata dal superiore competente – sono membri del rispettivo Istituto. In tale condizione, non essendo legittimamente separati, possono trovarsi in situazioni non compatibili con lo stato di vita religiosa o evidenziare comportamenti in contrasto con essa. Non ultimo, si possono riscontrare implicazioni o coinvolgimenti in vicende di natura economica che potrebbero nuocere anche all’Istituto”. “Oltre a tale assenza illegittima si può verificare la situazione di irreperibilità”, prosegue Carballo: “Sovente i risultati delle ricerche da parte del Superiore danno esito negativo, anche se reiterate nel tempo. Altre volte si deve prendere atto che i sodali si rendono volutamente irreperibili. In questi casi i superiori maggiori competenti hanno chiesto a questa Congregazione come comportarsi per dare certezza giuridica alla situazione di fatto”. Se da un lato, cioè, il Codice di Diritto Canonico “impone al superiore di ricercare il religioso illegittimamente assente per aiutarlo a ritornare e a perseverare nella propria vocazione”, dall’altro, “di fronte alla constatazione di irreperibilità il superiore non può che prenderne atto”. “Fermo restando quanto stabilito dal Legislatore sulla dimissione dall’Istituto Religioso dopo sei mesi di assenza illegittima – sintetizza Carballo – il motu proprio stabilisce che l’assenza illegittima dalla casa religiosa, protratta per almeno dodici mesi ininterrotti, dopo aver accertato e dichiarato l’irreperibilità alle condizioni previste – comporta la dimissione ipso facto dall’Istituto Religioso”. La procedura da seguire in tale caso è la seguente: “Il superiore maggiore con il suo consiglio senza indugio, dopo aver raccolto le prove, deve dichiarare l’irreperibilità e, trascorsi almeno dodici mesi, deve emettere la dichiarazione del fatto. Tale dichiarazione, perché la dimissione consti giuridicamente, deve essere confermata dalla Santa Sede se l’Istituto da cui il sodale viene dimesso è di diritto pontificio, mentre deve essere confermata dal vescovo della sede principale se l’Istituto è di diritto diocesano”. “L’introduzione di un nuovo motivo di dimissione ipso facto dall’Istituto di un religioso illegittimamente assente e irreperibile, non esime i superiori dal dovere di cercarlo con i mezzi possibili a disposizione. L’irreperibilità comporta che come tale venga accertata”, precisa Carballo: “Non può essere invocata per disincentivare la responsabilità di indagini e ancor meno per chiudere sbrigativamente il caso”. Con il motu proprio Communis vita la modifica del can. 694, §1 ha comportato, di conseguenza, la modifica del can. 729, che regola la vita degli Istituti Secolari, “perché per i membri di tali istituti non si applica la dimissione dall’Istituto per assenza illegittima”. Il Codice di Diritto Canonico “riguarda le cose future, pertanto non è retroattivo in quanto non dispone nominatamente delle cose passate”, precisa l’esponente della Santa Sede: “La responsabilità dei superiori verso il sodale illegittimamente assente e irreperibile, rende credibile la loro sollecitudine nel far rispettare una ‘regola’ fondamentale della vita religiosa: la tutela del bene comune che si esprime nella vita in comune”.