Emergenza

Venezuela: dai vescovi delle varie diocesi emerge una situazione sempre più insostenibile

Continuano a esser diffusi in questi giorni dai vescovi venezuelani messaggi alle proprie diocesi sulla situazione del Paese. Una presa di posizione corale in qualche modo “sollecitata” dai vertici della Conferenza episcopale (Cev). Mons. Freddy Fuenmayor, vescovo di Los Teques, scrive che il blackout “ha messo a nudo il profondo deterioramento dei servizi pubblici e delle infrastrutture”, a causa della “negligenza del Governo” e della “corruzione”. In particolare, “grida al cielo la morte di pazienti ricoverati in ospedale, bambini e adulti” e la violenza sfociata in saccheggi “nell’assenza e indifferenza delle autorità competenti”. Tragica, secondo il vescovo, anche la situazione nello stato del Miranda, dove sono in aumento la denutrizione infantile, la povertà, la mancanza d’acqua. Mons. Fuenmayor ringrazia i volontari della Caritas per la solidarietà che si continua a portare avanti e condanna le imprese e i commercianti  che hanno alzato “smisuratamente” i prezzi nei giorni del blackout. Anche Mons. Raul Saúl Figueroa, vescovo di Puerto Cabello, descrive la drammatica situazione della sua diocesi, dove si fa sentire sempre più la mancanza di generi alimentari, medicine, carburanti, sicurezza. Qui il maggior porto del Paese è in pratica “paralizzato”, con la “chiusura di quasi il 90 per cento dei servizi portuari”. La speranza arriva dal popolo, “che ha preso coscienza dell’origine del problema” e sempre più numeroso partecipa alle manifestazioni per un cambiamento politico. La diocesi di Coro interviene mediante un comunicato firmato dal vescovo, mons. Mariano José Parra Sandoval, e dal vescovo emerito, mons. Roberto Lückert León. La nota descrive una diocesi in rovina, il collasso di ospedali e scuole, il mancato rispetto dei diritti umani da parte di un Governo “incapace di risolvere i problemi del nostro popolo”, mentre il Venezuela ha bisogno di tornare “a uno sviluppo integrale”. Mons. Helizandro Terán, vescovo di Ciudad Guayana, si dice “indignato” per la “cultura di morte” che regna oggi in Venezuela e per il “crimine ecologico” provocato dalla corsa alle miniere d’oro nel cosiddetto “Arco Minero”, dove aumentano la violenza e le situazioni di deportazione di popolazioni indigene. Il presule chiede che si celebrino il prima possibile “elezioni generali” democratiche e trasparenti.