“Il ‘popolo’ non era un lemma, un concetto che Sturzo usava. ‘Popolo’ era un termine che non piaceva a tutta la tradizione cattolica, ma Sturzo non ha mai demonizzato questo termine e, più volte, ha semplicemente spiegato che è frutto di una torsione di significati, iniziata da Rousseau e perpetuata dai giacobini”. Lo ha affermato Nicola Antonetti, presidente dell’Istituto Luigi Sturzo e docente dell’Università degli Studi di Parma, durante l’incontro “La democrazia per il bene comune: popolarismo vs populismo” promosso da Facoltà di Scienze sociali della Pontificia Università Gregoriana e Istituto Luigi Sturzo nel centenario dell’“Appello ai liberi e forti”. Antonetti è partito dalla “definizione che Sturzo diede di unità/distinzione tra popolo e Stato, diversa da quella dei cattolici dell’Ottocento” per parlare de “Il popolarismo e il modello di Stato democratico”. E ha spigato di come il sacerdote calatino capì che “la trasformazione modello di stato di diritto in senso democratico poteva avvenire solo rinnovando i soggetti politici e soprattutto il sistema rappresentativo” dando vita ad “un sistema plurale di soggetti”. Ai tempi in cui Sturzo “era in gioco il destino della stessa democrazia, tra quella diretta e quella rappresentativa”. “Quando Sturzo fa la sua proposta della trasformazione democratica dello Stato – ha osservato Antonetti – le critiche maggiori gli arrivano dalla sinistra”, da Gobetti e da Gramsci, per esempio, che gli contestavano di non essersi posto nel suo grande progetto il problema di creare sostegno al progetto stesso e di non aver affrontato la costruzione unitaria di un grande partito rivoluzionario in grado di assumere e gestire direttamente tutti i poteri dello Stato. In sostanza, il limite individuato in Sturzo era di “non avere capito che senza una procedura rivoluzionaria non si sarebbe cambiato lo Stato liberale”. Ma “Sturzo non era insensibile a queste critiche” e, infatti, in uno scritto mise nero su bianco “l’idea che aveva dello Stato: ‘La riforma statale parte dal basso come consenso, lotta, dinamismo; scende dall’alto come attuazione; viene dall’intimo come tendenza spirituale espressa e sintetizzata; è tradotta e adattata nel contingente dell’azione politica direttiva, Non si può assolutamente prescindere dalla forma, cioè dall’organamento istituzionale centrale e periferico e dalla espressione esteriore, ordinata e gerarchica degli istituti sociali; ed è stoltezza pensare che possa attuarsi una riforma semplicemente morale ed intima, senza che tocchi la natura, i limiti e le forme costitutive degli enti pubblici’”. “Questo è il cuore politico del pensiero sturziano”, ha commentato Antonetti che ha parlato anche di come il sacerdote abbia attuato un “aggiornamento della concezione cattolica dello Stato. Sapeva che la storia cambiava, ma i fondamentali, i principi li mantenne sempre saldi”. Il presidente dell’Istituto Sturzo ha concluso sottolineando che “questa visione di unità/distinzione portava veramente a colpire il cuore dello Stato liberale. La legalità, scrive Sturzo, è un principio fondamentale dello stato di diritto liberale ma che è servita nient’altro che a legittimare le classi dirigenti. La legalità democratica è quella che le forze sociali costruiscono per il proprio ordinamento e per la vita pacifica e corrispondente alle proprie esigenze”.