“Il recente Sinodo dei vescovi celebrato lo scorso ottobre non è stato che l’ultima, palese conferma che nel quadro di un mondo globale come il nostro non si può parlare di giovani in modo indifferenziato. In Europa l’adesione alla fede e la pratica religiosa sono messe duramente alla prova. Ci troviamo all’inizio di un nuovo processo di aggiornamento. Occorre cercare linguaggi e modelli innovativi di comunicazione della fede”. Così mons. Paolo Selvadagi, vescovo ausiliare della diocesi di Roma per il Settore ovest. Intervenuto all’odierna cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2018- 2019 dell’Università europea di Roma, dedicata a “I Giovani e l’Europa”, il presule si sofferma sul rapporto tra chiesa e giovani europei alla luce del Sinodo ed esordisce richiamando “Eurhope”, l’incontro voluto a Loreto da Giovanni Paolo II durante la sanguinosa in Jugoslavia al quale parteciparono circa 400mila giovani. Ritornando al Sinodo, due, spiega i “punti di fragilità” individuati. Anzitutto “la rete delle parrocchie che hanno perduto il contatto con i giovani”, quindi l’inadeguatezza dei “percorsi di iniziazione alla vita cristiana” e la loro “lontananza dal sentire dei giovani”. Quali proposte? Selvadagi offre tre indicazioni: “Guardare con attenzione alla ricerca di spiritualità dimostrata dai giovani” nei quali “il senso religioso rimane una genuina apertura al mistero di Dio”. In secondo luogo tenere conto del loro interesse a “prendere parte in comunità ecclesiali fraterne e accoglienti in cui possano anche essere protagonisti”. Terza proposta “l’attitudine sinodale che ha già dominato metodo e stile di realizzazione del Sinodo”. “Una chiesa missionaria – conclude – sarà tale se saprà assumere al proprio interno un volto relazionale che ponga al centro ascolto, accoglienza, dialogo, nonché sinodalità che consenta di camminare tutti insieme”.