Caporalato

Braccianti sfruttati nel ragusano: mons. Cuttitta, “quando ho visto come vivevano ho pianto e non me ne vergogno”

“Quando ho visto le condizioni in cui vivevano uomini, donne e bambini ho pianto e non me ne vergogno”. A parlare è mons. Carmelo Cuttitta, vescovo di Ragusa, ricordando la sua visita agli insediamenti serricoli di Marina di Acate. Un territorio dove centinaia di braccianti vivono in condizioni di estrema precarietà e sfruttamento. A offrire a mons. Cuttitta la possibilità di fare una riflessione sullo sfruttamento dei lavoratori nel ragusano è stata la presentazione di “Vite sottocosto”, il report di Caritas italiana, che parte dall’esperienza di “Progetto presidio”. Il vescovo ha ricordato l’impegno degli operatori (“Il lavoro portato avanti è stato tanto”) e ha invitato alla coerenza la comunità ecclesiale, anche liberandosi da una devozione che rischia di essere solo di facciata. “Partecipare all’eucarestia e poi sfruttare le persone – ha affermato con fermezza – è una bestemmia”. Gli ha fatto eco il direttore della Caritas di Noto, Maurilio Assenza, ribadendo che “lo sdegno per le cose che non vanno va abbinato al coraggio di cambiarle”. Nel corso dell’incontro è emersa una forma di sfruttamento dei braccianti diversa dal caporalato, ma non meno degradante. A esserne vittima sono sia lavoratori e famiglie provenienti dall’Unione europea (che forse pagano il prezzo più alto) che braccianti provenienti da altri Paesi. Il lavoro nero riguarda almeno il 30% dei casi, ma sale al 50% tra i cittadini romeni che, essendo comunitari, non hanno bisogno del contratto di lavoro per beneficiare del permesso di soggiorno. Le paghe sono al di sotto di ogni standard di dignità (dai 10 euro al giorno per i rom, ai 20 euro per i romeni, ai 30 per gli extracomunitari). Paghe che scendono ancora se a lavorare sono i ragazzi ospiti dei Cas, in attesa del riconoscimento della loro istanza di asilo. Ultimamente, si è registrato un lieve incremento delle paghe, dovuto all’emigrazione dei lavoratori e delle famiglie romene verso i Paesi del Nord Europa dove le condizioni di vita e di lavoro sono migliori. Al loro posto, si assiste da qualche mese all’arrivo di lavoratori di nazionalità albanese. Dal report emergono anche le preoccupanti condizioni abitative in cui vivono queste persone: alloggi di fortuna senza luce, acqua e servizi igienici. Mancanza di istruzione per i bambini e i ricatti, cui spesso sono sottoposte le donne, sono altre due piaghe evidenziate dal rapporto “Vite sottocosto”.