Giornata prevenzione genocidi: New York, una preghiera comune dei leader religiosi all’Onu

(da New York) “Ci ameremo. Ci proteggeremo a vicenda. Faremo molto più che pregare secondo le nostre tradizioni. Noi, i tuoi figli, saremo uniti l’uno in difesa dell’altro”. Si è aperta con l’accensione di una candela e con una preghiera pronunciata da esponenti di diverse chiese e denominazioni religiose la giornata per la prevenzione dei genocidi che l’Onu ha celebrato il 9 dicembre nella sede di New York. “In questo giorno è importante riconoscere che l’Olocausto non è iniziato con le camere a gas – ha ribadito Maria Luiza Viotti a nome del segretario generale Guterres -. I genocidi in Ruanda, Srebrenica o Cambogia sono iniziati con gli omicidi di massa. Sono stati tutti preceduti da discriminazione, odio, incitamento alla violenza e disumanizzazione dell’altro”. Rendendo omaggio alle vittime, Adama Dieng, consigliere speciale per la prevenzione del genocidio, spiega che occorre la prevenzione non solo come obbligo morale ma anche legale. E mentre nel mondo si assiste a un’ondata di xenofobia, razzismo, antisemitismo, odio anti-musulmano e attacchi contro i cristiani, alimentato da ideologie nazionaliste e populiste, Dieng sostiene “l’importanza delle azioni positive, i cui attori sono uomini e donne, sopravvissuti al genocidio e che possono agire come profeti per impedire che gli orrori si ripetano”. Anche i leader religiosi possono svolgere “un ruolo particolarmente importante soprattutto quando promuovono messaggi di pace e inclusione, perché in questo modo stanno attivamente contribuendo alla prevenzione”.

Azza Karram, coordinatrice dell’Intertask force per le religioni e lo sviluppo, ha ribadito la necessità di integrare le organizzazioni religiose nel multilateralismo diplomatico che accompagna la prevenzione e la soluzione dei conflitti. “Abbiamo fatto troppo poco per mancanza di coraggio e di leadership e serve una società civile che non sia irrilevante ma attiva e presente, anche negli organismi internazionali”, ha concluso nel suo intervento. Alla giornata sono intervenuti anche Felistas Mushi, presidente della Commissione di prevenzione dei genocidi e dei crimini di guerra in Tanzania, e Wai Wai Nu, una giovane rohingya, imprigionata per sette anni a causa della sua fede e ora attivista per i diritti umani in Myanmar.