Proteste

Colombia: in 250mila alla “marcia-concerto” di domenica. Padre De Roux, “mobilitazione dice che il popolo non vuole più guerra e cultura della lotta”

Dopo 19 giorni di mobilitazione popolare, marce, cacerolazos, ben 250.000 persone domenica scorsa, secondo il quotidiano Publimetro, hanno marciato in pieno centro di Bogotá lungo la carrera séptima, fino al nord della capitale, all’altezza di calle 85, partendo dal luogo simbolico dell’incrocio tra calle 19 con carrera 4, dove è stato ucciso, molto probabilmente dalla polizia antisommossa (Esmad) il giovane Dilan Cruz, 17 anni.
Un lungo camion-tir, con rimorchio, con grandi altoparlanti è diventato lo scenario mobile di un concerto con 40 artisti colombiani che alternavano canzoni agli slogan gridati pacificamente da centinaia di migliaia di giovani studenti, in maggioranza delle università pubbliche e delle classi popolari.
“Anche in questo contesto macro, tutto ha mantenuto un carattere di festa, all’insegna della non violenza e della resistenza attiva gandhiana, che contraddice totalmente i discorsi allarmistici del presidente Duque, il quale secondo un nuovo sondaggio ha l’appoggio del 30% della popolazione, mentre ben 70% appoggerebbe la mobilitazione nazionale”. Lo afferma Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina, che prosegue: “Come osservatore internazionale ho accompagnato il gesuita padre Francisco de Roux, presidente della Commissione per la Verità, divenuto un riferimento etico per migliaia di giovani”.
Lo stesso padre De Roux commenta per il Sir: “Dopo la morte di Dilan, provocata da un agente dell’Esmad, esprimo ancora solidarietà alla famiglia, dolore e indignazione per la violenza. Possa questa tragedia aprire alla riconciliazione nella verità e mobilitare senza violenza la legittima protesta dei cittadini. E né uno studente né un poliziotto in più muoia in questo momento di speranza”.
Prosegue il gesuita: “Questo grande concerto è un’espressione importante per affermare che l’intero Paese deve andare oltre. Lo sciopero nazionale serve a dire che noi popoli non vogliamo più guerra, non vogliamo la cultura della lotta, questa è la mentalità dei vecchi politici. Dobbiamo ascoltare le speranze, i sogni dei giovani, che hanno chiare richieste. Vogliono un negoziato popolare, che veda protagonisti il popolo e le organizzazioni sociali, in vista della protezione dell’ambiente, l’inclusione e l’equità, la giustizia sociale e il rispetto dei popoli, un’istruzione adeguata per i giovani dei settori popolari, il cui livello di disoccupazione arriva al 40%”.