Festa San Petronio

Diocesi: mons. Zuppi (Bologna), “accoglienza non è aprire al pericolo, ma alla vita”

“Accoglienza non è affatto aprire al pericolo, ma alla vita. Chi accoglie la vita dal suo inizio al suo compimento, trova la sua vita e prepara il suo futuro. San Petronio, che tiene tra le mani tutta la città, ci ricorda che tutti sono da amare, senza distinzioni e preferenze, anzi iniziando dagli ultimi”. Lo ha affermato questo pomeriggio l’arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Maria Zuppi, presiedendo nella basilica di S. Petronio la messa per la festa patronale. “Chi accoglie sarà accolto”, ha sottolineato l’arcivescovo, spiegando che “accoglienza non è preparare una stanza e magari poi il conto, ma aprirsi alla vita, perché chi accoglie trova vita. L’accoglienza ci permette di scoprire il Signore. L’altro diventa il mio prossimo se io lo tratto come tale anche quando ancora non lo è e l’accoglienza è l’inizio di questa scoperta. Altrimenti l’altro mi appare, facilmente, un nemico”.
“San Petronio – ha evidenziato Zuppi – ci mostra la città e noi vogliamo questa sera rinnovare il nostro patto di amore che ci unisce ad essa”. “La Chiesa – ha ammonito – non vive per se stessa, ma difende la sua città perché la ama, la conosce, la immagina, come scriveva monsignor Gherardi che ricordiamo nel centenario della sua nascita e nel ventesimo anniversario della morte, una cattedrale a tre navate. I portici sono le navate laterali e la strada quella centrale”. “Nella nostra città dei portici – ha osservato l’arcivescovo – si nascondono tante sofferenze. Penso ad esempio a chi è colpito da malattie degenerative e ai suoi familiari, a chi è schiavo di dipendenze, dalla droga alla pornografia; alla malattia psichiatrica che è in aumento specialmente tra i giovani; a chi, profugo, è lasciato orfano perché non adottato da cuori buoni e rimane in un limbo deludente e pericoloso per tutti”. “Aiutiamoci gli uni con gli altri, come i portici che si sorreggono a vicenda”, l’esortazione di mons. Zuppi: “Possiamo anche noi essere protector di qualcuno, difendendo dall’indifferenza e dalla solitudine, da parole dure o dalla durezza di essere lasciati senza parole, senza compagnia e visita”. “Diventiamo protector anche solo con il saluto affettuoso, prima accoglienza, con un volto luminoso e non scuro, abbassandoci verso l’umanità dell’altro. Siamo forti – ha sottolineato l’arcivescovo – quando siamo servi non padroni”.