
Attenzione assoluta alla persona intesa nella sua interezza e alle singole situazioni, ma anche al significato dei termini usati. È il messaggio arrivato dal dibattito “Eutanasia e suicidio assistito, tutte le ombre” ospitato dal santuario della Consolata di Torino e organizzato insieme al settimanale diocesano “La Voce e il Tempo”. Protagonisti della discussione, attorno ad un tema delicato e di grande attualità dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale, sono stati padre Carmine Arice (padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza – Cottolengo) e Pier Paolo Donadio (anestesista rianimatore), intervistati da Alberto Riccadonna, direttore del settimanale diocesano.
“Quando si parla di fine vita, è necessario usare bene i termini, cosa che invece spesso nel dibattito pubblico non avviene: una circostanza che crea molta confusione e un’informazione distorta”, ha sottolineato padre Arice, che ha aggiunto: “Prima di tutto ci vuole un grande rispetto per il malato. Ogni storia umana è unica. Ma quando una persona chiede di morire, è una sconfitta per tutti; e occorre chiedersi se davvero quella persona sia libera di decidere oppure se sia condizionata dal dolore. Da parte nostra, al Cottolengo, proviamo a far vivere la gente meglio che si può”.
Donadio ha insistito sui significati veri di “eutanasia” (buona morte), così come di “omicidio del consenziente” e di “suicidio assistito”, così come del valore della desistenza terapeutica. “Se si vuole davvero ragionare correttamente sul fine vita – ha affermato -, occorre anche ricordarsi che non ci siamo dati la vita da soli e che non sappiamo quando moriremo: in altre parole, è importante tenere a bada un pericoloso delirio di onnipotenza. D’altra parte, ricordiamoci anche che in Italia ogni anno vi sono circa 600mila persone alle prese con i problemi del fine vita e due terzi di queste muoiono peggio di quanto potrebbero”.
Tornando sulla dignità della persona e sul dovere di considerarla nella sua interezza, il padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza ha ricordato che “la solitudine ammazza prima della morte. È necessario, perciò, accompagnare le persone e le loro famiglie in un percorso di elaborazione del senso completo della vita”. Padre Arice ha, quindi, avvertito: “Facciamo attenzione: nella tradizione cattolica c’è certamente stato qualche dolorista, ma questa posizione non ha fondamenti nel Vangelo. Cristo non ha mai detto: ammalati per la gloria di Dio”.