Viaggi apostolici
“Non abbiamo inventato la Chiesa, non è nata con noi e andrà avanti senza di noi”. Lo ha detto il Papa, nel discorso rivolto ai vescovi, in cui ha precisato che “tale atteggiamento, lungi dall’abbandonarci all’apatia, suscita un’insondabile e inimmaginabile gratitudine che dà nutrimento a tutto”. Il martirio, ha precisato infatti Francesco, “non è sinonimo di pusillanimità o l’atteggiamento di qualcuno che non ama la vita e non sa riconoscere il suo valore. Al contrario, il martire è colui che è in grado di incarnare e tradurre in vita questo rendimento di grazie”.
L’esempio scelto dal Papa per i presuli centroamericani è quello di Romero, che “ha potuto sintonizzarsi e imparare a vivere la Chiesa perché amava intimamente chi lo aveva generato nella fede”. “Senza questo amore intimo – ha ammonito Francesco – sarà molto difficile comprendere la sua storia e la sua conversione, poiché è stato questo medesimo amore a guidarlo fino a donarsi nel martirio; quell’amore che nasce dall’accogliere un dono totalmente gratuito, che non ci appartiene e che ci libera da ogni pretesa e tentazione di crederci i suoi proprietari o gli unici interpreti”. “Romero ha sentito con la Chiesa perché, prima di tutto, ha amato la Chiesa come madre che lo ha generato nella fede e si è sentito membro e parte di essa”, ha spiegato il Papa, secondo il quale l’arcivescovo di San Salvador “non è stato ideologo né ideologico; la sua azione è nata da una compenetrazione con i documenti conciliari. Illuminato da questo orizzonte ecclesiale, sentire con la Chiesa significa per Romero contemplarla come Popolo di Dio. Perché il Signore non ha voluto salvarci ciascuno isolato e separato, ma ha voluto costituire un popolo che lo confessasse nella verità e lo servisse nella santità”. Romero, in sintesi, per Francesco “ci mostra che il Pastore, per cercare e incontrare il Signore, deve imparare e ascoltare il battito del cuore del suo popolo, sentire l’odore degli uomini e delle donne di oggi fino a rimanere impregnato delle sue gioie e speranze, delle sue tristezze e angosce”. “Senza dicotomie o falsi antagonismi”, la ricetta del Papa, “perché una Chiesa arrogante, una Chiesa piena di orgoglio, una Chiesa autosufficiente non è la Chiesa della kenosis”.