Mediterraneo

Migranti: don Zerai (Habeshia), “riportarli in Libia non è un salvataggio ma respingimenti di massa, arresti e chiusura nei lager”

“È vero, dal primo gennaio sono arrivati appena 160 migranti. Roma non dice, però, che tra Spagna e Grecia ne sono arrivati più di 5mila. Che cioè i muri che ha eretto, chiudendo addirittura i porti, come tutti i muri, non fermano i flussi ma, semmai, li deviano e l’Europa ne è comunque investita. Ma questo è il meno. La cosa più grave è che Roma non si pone minimamente il problema della sorte che attende i ‘respinti’, tutti quelli, cioè, che vengono ricondotti di forza nell’inferno libico, nei centri di detenzione dai quali erano fuggiti. Perché di questo si tratta: non di salvataggi ma di respingimenti di massa, arresti e chiusura nei lager. Respingimenti che, oltre tutto, sempre più spesso vengono effettuati con mercantili di passaggio”. Lo ricorda oggi don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia, commentando le ultime vicende che stanno accadendo nel Mediterraneo, tra naufragi e respingimenti in Libia, nonostante non sia un porto sicuro e per i migranti la cosa peggiore è tornare in quei centri, dove subiscono violenze di ogni tipo. L’ultimo risultato di questa politica , osserva, è il ritiro della Germania dalla missione Sophia e, probabilmente, la fine stessa di questo programma, “lasciando il Mediterraneo ancora più sguarnito”. “Se sono un successo tutte le morti e le sofferenze in cambio della diminuzione degli sbarchi in Italia – sottolinea il sacerdote – lo lascio giudicare alla coscienza e al senso di umanità della gente. Mi sembra fuorviante, però, che invece di riflettere su quanto sia alto il costo di vite umane pagato da profughi e migranti che si imbarcano verso l’Italia, si tirino fuori di continuo dei diversivi. Ad esempio, l’eterno alibi della sicurezza e della ‘difesa dei confini’, come se alle porte ci fosse un esercito in armi e non dei disperati in fuga per la vita. O, ancora, più di recente, la pretesa ricerca delle ‘cause remote’ dell’immigrazione dall’Africa, come la questione della moneta, il franco legato all’euro, in uso in diversi Paesi dell’ex Africa francese. Ma se si cercano cause e responsabilità remote sul ‘caso Africa’, nessuno in Europa è esente da colpe. Meno che mai l’Italia. Io dico solo che siamo di fronte a un problema decisivo per il modo di essere della società europea in cui viviamo”.