Ormai da giorni in balia del mare, 49 uomini, donne, bambini sono bloccati in mezzo al Mediterraneo senza un porto disponibile dove sbarcare. 32 persone dal 22 dicembre si trovano a bordo della nave Sea Watch e altre 17 dal 29 dicembre sono a bordo dalla Sea Eye. “Abbiamo operato per più di tre anni nel Mediterraneo e sappiamo cosa significa per persone vulnerabili affrontare questo tipo di viaggio”, dichiara Ruggero Giuliani, medico e vicepresidente di Medici senza frontiere: “Con le condizioni meteo in peggioramento e considerando le rigide temperature invernali, è necessario trovare una soluzione rapida”. Giuliani lancia un appello “alle autorità europee ed italiane affinché si trovi al più presto un porto sicuro per questi naufraghi”; “alla società civile italiana, affinché alzi la voce su questa situazione inaccettabile e sulla richiesta di politiche più umane che allevino le sofferenze delle persone. Chi fugge ha bisogno di protezione. La tutela della vita delle persone al primo posto, poi i dibattiti politici su chi accoglie”. Il 2018, osserva, “si è concluso come l’anno della chiusura dei porti e del boicottaggio dell’azione di soccorso in mare con poche navi umanitarie rimaste a cui viene impedito di continuare un lavoro salvavita, fino a costringere cinquanta persone in condizione di fragilità a vagare per giorni nel Mediterraneo in attesa di un porto sicuro. Non è certo la chiusura dei porti a ridurre i flussi migratori ma al contrario aumenta i pericoli per chi attraversa il mare”. Nel 2018 “oltre 2.200 persone sono morte o risultano disperse nel tentativo di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo. Oltre 14.000 le persone respinte e costrette a tornare nell’inferno dei centri di detenzione libici dove i minimi diritti non vengono rispettati in alcun modo”, conclude Giuliani. Fra il 2015 e il 2018, Msf ha soccorso o assistito oltre 80.000 persone a bordo di varie navi umanitarie. Msf ha anche lavorato in Italia agli sbarchi e in Libia, dove l’organizzazione porta cure mediche ai migranti e rifugiati nei centri di detenzione.