L’appello “ai liberi e forti” e la nascita del Partito popolare hanno rappresentato “il primo effettivo approdo dei cattolici italiani alla democrazia, anticipando anche il magistero”. Lo ha detto lo storico Matteo Truffelli (che è anche presidente nazionale dell’Azione Cattolica italiana), intervenendo al convegno sul centenario dell’appello che si è svolto oggi presso l’Istituto Luigi Sturzo. “Il principio del pluralismo non era facile da metabolizzare per la cultura cattolica dell’epoca”, ha sottolineato Truffelli, tanto più che esso non voleva soltanto dire che i cattolici dovevano accettare di essere “parte” tra gli altri, ma anche che “all’interno del corpo ecclesiale erano possibili posizioni divergenti sul piano politico”. Per Truffelli è di grande rilevanza il fatto che l’appello del 18 gennaio 1919 non fosse rivolto ai soli cattolici, ma – appunto – “a tutti gli uomini liberi e forti”. Alla base c’è la consapevolezza che “per gli ideali di libertà e giustizia bisogna cooperare con tutti quelli che mirano alla costruzione di una società migliore”, senza che questo implichi la rinuncia a quei “principi cattolici” a cui Sturzo si richiama esplicitamente, accettando “l’inevitabile tensione” che può crearsi tra essi e “le concrete scelte possibili”. Tensione assunta “alla luce di una fede solida e incarnata”. Truffelli ha ricordato che il sacerdote di Caltagirone, prima dell’esperienza del Partito popolare, era stato segretario della giunta centrale dell’Azione cattolica e che, anche nei momenti di maggiore impegno politico, “è rimasto sempre un prete”, con una vita di preghiera matura e rigorosa e con “la disponibilità a pagare anche un altissimo prezzo personale per la fedeltà dalla Chiesa e alla sua coscienza”.