Sono oltre 4 milioni i venezuelani emigrati nei Paesi limitrofi, oltre 2 milioni negli ultimi due anni, ma per chi parte ora l’accoglienza “è compromessa dalla quantità esorbitante di migranti, dalle condizioni di povertà e vulnerabilità estrema in cui si trovano quando arrivano nei Paesi di accoglienza e dalle tante malattie che esportano. Ci vedono come intrusi e rispondono con la xenofobia”. Lo racconta al Sir Janeth Marquez, direttrice di Caritas Venezuela, parlando di come la crisi umanitaria nel suo Paese abbia innescato un intenso processo migratorio: “il 70% migrano per motivi economici”. Con ripercussioni nei Paesi confinanti: “Nell’agosto 2018 Perù e Brasile hanno dichiarato l’emergenza sanitaria e umanitaria ai confini con il Venezuela, a causa dell’elevata pressione demografica dei migranti venezuelani. In Ecuador, Perù e Cile sono iniziate restrizioni all’ingresso dei venezuelani, esigono visti e passaporti”. L’Unhcr America, ricorda, “riconosce che la migrazione venezuelana è il più grande movimento migratorio nella storia recente del continente e stima oltre 2 milioni di persone che hanno lasciato il Venezuela negli ultimi 3 anni. Considerando le precedenti fasi migratorie sono stimati circa 4 milioni di venezuelani emigrati in Colombia, Brasile, Trinidad, Ecuador, Perù, Argentina, Cile e Uruguay”. La popolazione venezuelana che arriva oggi nei Paesi del Sud America è infatti in “situazione di alta vulnerabilità: molti hanno esaurito i mezzi di sostentamento, sono malnutriti e con malattie infettive”, afferma Marquez. In queste condizioni, “devono affrontare condizioni difficili di arrivo e integrazione nei Paesi di destinazione, comprese le difficoltà di accesso al lavoro e di regolarizzazione del loro status migratorio. Questa situazione di irregolarità espone maggiormente uomini, donne e bambini a sfruttamento lavorativo, estorsioni, discriminazioni e minacce”. A suo avviso la maggior parte dei Paesi di accoglienza ha dato “risposte di regolarizzazione poco effettive e inefficaci rispetto alle esigenze di protezione internazionale” e “nemmeno i meccanismi di assistenza umanitaria dispiegati” hanno fornito “risposte adeguate in termini di tempo e risorse”.