Rosario Livatino: postulatore, “l’imputato per lui è sempre stato una persona umana”

“Chi uccidendo il giudice Livatino pensava di spegnere una luce ed invece ha acceso un candelabro”. Con queste parole l’allora vescovo di Agrigento, mons. Carmelo Ferraro, ha riassunto, durante i funerali del giudice, la morte di Livatino. “Una vita di cui pensavamo di conoscere tutto – ha detto il postulatore del processo diocesano di canonizzazione del giudice Livatino, don Giuseppe Livatino – ma così alla fine non era e questo lo abbiamo scoperto ascoltando i testi durante il processo. Il ritratto che viene fuori dai testi e dalla sue agende è un ritratto quasi a tutto tondo. Livatino – ha proseguito il postulatore – non amava parlare di sé e far parlare di sé. È stato un lavoro complesso che ci ha permesso di delineare la figura di un magistrato integerrimo, cultore del segreto istruttorio, l’imputato per lui è sempre stato una persona umana e nel giudicarlo faceva i presente i propri limiti mettendosi in una condizione di ascolto delle persona che aveva avanti”. Il giudice Rosario Livatino venne ucciso in un agguato mafioso il 21 settembre del 1990 mentre con la sua automobile, senza scorta, si recava da Canicattì sua città natale e dove viveva con gli anziani genitori, al Tribunale di Agrigento. Un omicidio brutale commesso da giovani appena ventenni che fece conoscere la figura di questo giovane magistrato.

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