Convegno

Vulnerabilità: Puca (Camillianum), “di fronte ai casi di Charlie e Alfie bisogna chinare il capo”

In merito ai casi di Charlie Gard e Alfie Evans, che hanno occupato molto spazio nel dibattito pubblico, hanno parlato durante il convegno sulla vulnerabilità, Antonio Puca, professore emerito di bioetica del Camillianum, e Maurizio Mori, ordinario di filosofia morale e bioetica dell’università di Torino. “Della sorte del bambino chi decide? – ha chiesto Puca -. I medici, i genitori o il tribunale? Nel rapporto fra medico e paziente, c’è ancora aspazio per l’etica medica? Tutto è passato nell’aula dei tribunali. Talvolta sembriamo prigionieri di una struttura e non persone da curare. Mi sembra necessario allargare la bioetica agli aspetti antropologici di cui non si può fare a meno. La dignità della persona è un tema da recuperare. Nei casi, i genitori chiedevano il ritorno a casa per i loro bambini. Un ritorno negato dal tribunale. Ma mi chiedo, oltre alla legge, c’è ancora spazio per la compassione?”. “Bisogna andare alla radice del problema e recuperare il senso del mistero. Di fronte a questi casi – ha concluso -, bisogna chinare il capo e aspettare la carezza del Nazareno, il resto è una conseguenza”.

Sul fronte opposto si è dichiarato Mori. “Intorno a Charlie e Alfie si è sviluppata una guerra culturale – ha commentato il docente, membro del Comitato nazionale di bioetica -. Le guerre culturali si sviluppano nella vulnerabilità che è una situazione di speciale debolezza in cui il soggetto può essere facilmente attaccato. Nelle situazioni normali la scelta autonoma è accettata da tutti e scontata. Nel caso degli infanti invece non c’è questa possibilità quindi siamo in una situazione vulnerabile e di emergenza in cui cambiano le priorità. Quindi qual è la vera cura da dare ad Alfie e Charlie e in base a quali criteri? Il punto di fondo è chi ha il titolo di decidere. Di solito i genitori pensano al miglior interesse del figlio ma non sempre perché a volte sono ignoranti o impongono delle decisioni dannose al figlio”. “Il best interest del bambino è non continuare una vita che diventa onerosa. La vera vulnerabilità era continuare a lasciarli attaccati alla terapia. Mi trovo quindi d’accordo – ha concluso – con le decisioni dei tribunali britannici”.