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Sviluppo: Rapporto Unctad, “vantaggi globalizzazione solo a multinazionali, non a lavoratori e piccole imprese”

“L’iper-globalizzazione non ha portato agli sperati benefici diffusi e il dogma del libero scambio è stato a lungo la scusa per ridurre lo spazio di manovra per i Paesi in via di sviluppo e diminuire le protezioni per i lavoratori e le piccole imprese, a tutto vantaggio delle rendite delle grandi imprese multinazionali. Ma né il ritorno ad un nazionalismo nostalgico né un rinnovato sostegno al libero scambio possono migliorare adesso la situazione”. E’ la denuncia contenuta nel Rapporto Unctad 2018 sul commercio e lo sviluppo presentato oggi a Roma, nella sede di Radio Vaticana, insieme al Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Nel Rapporto si evidenzia lo squilibrio di un commercio globale che “continua ad essere dominato dalle grandi multinazionali grazie al controllo delle catene globali di valore;  in media, l’1 per cento delle maggiori imprese esportatrici  di un Paese è artefice di oltre la metà delle sue esportazioni complessive”. “La relazione fra crescita degli scambi e crescita economica – osserva – è però divenuta più flebile che in passato e l’aumento nei volumi di scambi internazionali ha generato disuguaglianze, visti i benefici di cui hanno beneficiato le principali imprese derivanti da una maggiore concentrazione di mercato e dal controllo di beni immateriali”. “Le aziende superstar sono un fenomeno globale, e le loro strategie di rendita vanno ben oltre i confini nazionali”, afferma Richard Kozul-Wright. “Che si tratti o meno di una guerra commerciale conclamata – osserva il rapporto -, i recenti aumenti nelle tariffe doganali sono destinati a spezzare un sistema di negoziazione internazionale sempre più legato alle catene globali di valore”. Tuttavia, “le conseguenze di una escalation tariffaria, l’aumentare dell’incertezza e la riduzione degli investimenti, potrebbero avere effetti più dannosi nel medio termine” soprattutto “per quei Paesi che già stanno fronteggiando difficoltà finanziarie”. “Dopo decenni dedicati alla ricerca spasmodica del libero scambio – conclude -, sarebbe gravissimo abbracciare adesso l’eccesso opposto – una guerra tariffaria – piuttosto che considerare cosa i governi possano fare per evitare il continuo deterioramento della distribuzione del reddito e dell’occupazione che sono alla base delle più recenti crisi economiche”.