“Il processo di delocalizzazione non può esser considerato marginale e merita grande attenzione. Stiamo parlando di aziende, in alcuni casi multinazionali, che hanno incassato soldi pubblici per poter andare avanti e ripartire e poi, una volta usati quei soldi, prendono e se ne vanno”. Lo ha detto oggi il ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro e delle politiche sociali, Luigi Di Maio, riferendo alla Camera sui tavoli di crisi aperti presso il Ministero dello Sviluppo economico, 144, che vedono coinvolti 189.000 lavoratori. “Sono 31 le aziende che in parte o totalmente sono state interessate da processi o decisioni di cessazione della loro attività e conseguente delocalizzazione in altri Paesi comunitari o extra UE”, ha sottolineato il ministro. Le aziende che delocalizzano – sottolinea Di Maio- “non hanno alcun interesse nel risolvere le crisi o i problemi, non interessano loro i lavoratori o il tessuto sociale in cui operano”. “Questi non sono imprenditori, questi sono, come li chiamo io, ‘prenditori’ e come sistema Paese non abbiamo alcun interesse nell’attirare questa gente in Italia”. Quindi, il vicepremier ha ribadito che “nel decreto Dignità abbiamo inserito un pesantissimo disincentivo alla delocalizzazione: se te ne vai dopo aver ricevuto soldi pubblici, devi restituire i finanziamenti ricevuti con gli interessi e, se delocalizzi fuori dall’Unione europea, paghi anche sanzioni pari a quattro volte i soldi che hai ricevuto dallo Stato”.