Editoria
“Il tema della crisi, della mancanza delle vocazioni è ben presente e sentito nella nostra Chiesa. Oggi la situazione è diventata tragica per tutta la vita religiosa ma anche per la vita presbiterale. In alcune regioni del Paese c’è una sterilità senza precedenti; altre invece appaiono ancora capaci di una fecondità che assicura abbondanza di pastori”. Lo scrive Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose, nel numero di luglio di “Vita Pastorale”, anticipato al Sir. Elencando le cause di questo fenomeno, indica: denatalità, secolarizzazione, relativismo, cultura del provvisorio e dell’incertezza, nuove comprensioni in materia di etica e sessualità. “A volte mi pare di poter definire il grembo della comunità cristiana come ‘abortivo’. Perché incapace di far crescere quei germogli di vocazione che non mancano mai in un giovane che si affaccia alla vita”. Di qui la necessità di un “mea culpa” della Chiesa. “Se nella comunità cristiana vengono meno quelli che sanno indicare i cammini della vocazione, se è afono chi dovrebbe porre domande ai giovani e quindi accompagnarli, pur senza imposizioni, su cammini nei quali possa emergere una vocazione, allora il grembo ecclesiale risulta abortivo”. Enzo Bianchi invita anzitutto a ritrovare “una vocazione umana che va assolutamente affermata, prima di tutte le altre specifiche vocazioni cristiane”. “Non lo si deve dimenticare, perché oggi questa mancanza di humus della vocazione umana, questa sua non percezione impedisce l’innesto in essa di una vocazione cristiana al matrimonio, al ministero ordinato o alla vita religiosa”. La comunità cristiana, invece, oggi “deve saper essere il soggetto che, nella potenza dello Spirito santo, chiama e nel suo seno sa generare uomini e donne dei quali la Chiesa ha bisogno”.