
“Noi non ci salviamo da soli, ma da noi può partire un grido di aiuto: ‘Signore, salvami: Signore, insegnami la strada; Signore, carezzami; Signore, dammi un po’ di gioia’”. Il Papa ha concluso quasi con una preghiera l’udienza di oggi, dedicata ai comandamenti come esperienza di liberazione. “Questo è un grido che chiede aiuto”, ha commentato Francesco ancora fuori testo: “Questo spetta a noi: chiedere di essere liberati, dall’egoismo, dal peccato, dalle catene della schiavitù. Questo grido è importante, è preghiera, è coscienza di quello che c’è ancora di oppresso e non liberato in noi. Ci sono tante cose non liberate nella nostra anima: ‘Salvami, aiutami, liberami’, questa è una bella preghiera al Signore”. “Eppure qualcuno può sentire di non aver ancora fatto una vera esperienza della liberazione di Dio. Questo può succedere”, ha ammesso il Papa: “Potrebbe essere che ci si guardi dentro e si trovi solo senso del dovere, una spiritualità da servi e non da figli. Cosa fare in questo caso? Come fece il popolo eletto. Dice il libro dell’Esodo: ‘Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero'”. “Dio pensa a me”, il commento a braccio di Francesco, secondo il quale “l’azione liberatrice di Dio posta all’inizio del Decalogo, cioè dei comandamenti, è la risposta a questo lamento”. “Dio attende quel grido, perché può e vuole spezzare le nostre catene”, ha concluso il Papa: “Dio non ci ha chiamati alla vita per rimanere oppressi, ma per essere liberi e vivere nella gratitudine, obbedendo con gioia a Colui che ci ha dato tanto, infinitamente più di quanto mai potremo dare a lui. È bello questo! Che Dio sia sempre benedetto, per tutto quello che ha fatto, fa e farà in noi”.