Durante la seconda e ultima udienza del processo in Vaticano a carico di mons. Capella, accusato di detenzione, cessione e trasmissione di materiale pedopornografico, l’accusa – ha riferito il “pool” di giornalisti ammessi in aula – ha cominciato la sua requisitoria sgombrando il campo da ogni dubbio circa la titolarità della giurisdizione vaticana: per la Santa Sede, infatti, qualsiasi reato commesso da un pubblico ufficiale vaticano, in qualsiasi territorio, è un reato competente per lo Stato della Città del Vaticano. Riguardo al materiale sequestrato, la legislazione vaticana – ha fatto notare l’accusa – è molto più restrittiva rispetto a quella italiana, in quanto non distingue tra immagini reali e virtuali. Di qui la pregnanza della “ingente quantità”, dimostrata anche dal fatto che le immagine scaricate dal cellulare di Capella sono state archiviate in un cloud e consultate in diversi punti, l’ultima volta nell’ottobre del 2017. Segno, quindi, di “un comportamento reiterato nel tempo che non è mai venuto meno”, come dimostra anche l’attività in chat su Tumblr. Le immagini, inoltre, quando venivano condivise erano accompagnate da “apprezzamenti”. Nelle chat, infine, “si prospettavano anche incontri reali”. “Non era una captazione accidentale e fortuita di materiale, ma l’indice di una attività illecita di ingente quantità”, il rilievo dell’accusa, che ha ricordato come la legge vaticana del 2010, voluta da Papa Ratzinger, inserisce lo scambio di materiale pedopornografico nei “delicta graviora”, quelli cioè che riguardano le offese alla fede e alla morale. La linea dell’avvocato difensore di Capella, Roberto Borgogno, è stata improntata invece alla contestazione dell'”ingente quantità”, che a suo avviso non viene definita precisamente dalla legislazione vaticana. Per quella italiana, ha fatto notare il legale, si parla di ingente quantità a partire da 100 immagini (quelle riscontrate nei dispositivi di Capella oscillerebbero tra 40 e 55). Poi l’avvocato si è soffermato sul profilo psicologico del suo assistito: “Questi comportamenti – ha detto – non sono indice di pericolosità ma di un disagio: non si può sempre parlare di detenzione, ci sono terapie e percorsi riabilitativi che le autorità ecclesiastiche ben conoscono. C’è la possibilità di un cammino terapeutico”. Nella memoria del consulente psichiatrico depositata agli atti, inoltre, emerge “lo studio di una personalità che non dimostra affatto tendenze di pedofilia o parafilia”. Per questo la richiesta dell’avvocato è che “la pena sia contenuta nei minimi applicabili”.