Sisma

Terremoto Centro Italia: delegazione Cei al Senato sulla ricostruzione, chiesta per le diocesi una procedura che ne rispetti la natura assicurando trasparenza, regolarità e sicurezza

foto SIR/Marco Calvarese

“Siamo qui a rappresentarvi un’esigenza decisiva per le nostre diocesi. Gli strumenti finora approntati dal Legislatore hanno fallito l’obiettivo di garantire una pronta ricostruzione: a quasi due anni dal terremoto, gli interventi di messa in sicurezza non risultano ancora integralmente attuati, mentre quelli di ricostruzione non risultano nemmeno iniziati e le diocesi riscontrano problemi quotidiani nell’interfacciarsi con gli Uffici speciali per la ricostruzione”. Non ha usato giri di parole mons. Stefano Russo, vescovo di Fabriano-Matelica e presidente del Comitato per la valutazione dei progetti di intervento a favore dei beni culturali ecclesiastici e dell’edilizia di culto, nell’audizione di mercoledì 12 giugno dinanzi all’Ufficio di Presidenza della Commissione speciale per l’esame degli atti urgenti presentati dal Governo al Senato. Accompagnato da mons. Giuseppe Baturi, sottosegretario Cei, e dal prof. Francesco Saverio Marini, Russo ha ricordato come nel sisma che ha colpito l’Italia Centrale siano andate distrutte – o comunque risultino inagibili – più di 3mila chiese: un numero talmente alto da far alzare le mani al Ministero, già investito di una mole significativa di compiti e attribuzioni in materia di ricostruzione pubblica. 

Proprio per questo, già nel 2017 il Legislatore aveva riconosciuto l’opportunità nell’ambito della ricostruzione delle chiese di un intervento diretto delle diocesi, qualificate con apposito decreto legge quali “soggetti attuatori”. Come, però, ha spiegato il vescovo nel corso dell’audizione, questo riconoscimento ha di fatto assoggettato le stesse diocesi a una disciplina della ricostruzione pubblica estremamente complessa sul piano organizzativo prima ancora che economico. Dovrebbero, infatti, dotarsi di strutture necessarie per le procedure di gara, per la progettazione, per l’affidamento dell’esecuzione dei lavori e, in definitiva, farsi carico di una serie di oneri gestionali di fatto del tutto estranei alla struttura e alla natura delle diocesi stesse. Di qui la proposta rappresentata dalla delegazione della Cei: partendo dal riconoscimento che le diocesi sono enti ecclesiastici civilmente riconosciuti – ossia enti non pubblici, ma privati con profili di specificità – arrivare a mutare la normativa vigente, sottoponendo al regime della ricostruzione privata gli interventi, almeno fino alla soglia dei 500mila euro, che abbiano per oggetto le chiese e gli edifici di culto. In tal modo, le doverose esigenze di trasparenza, regolarità e sicurezza nelle procedure di ricostruzione potrebbero coniugarsi con la celerità degli interventi, a tutto vantaggio delle popolazioni coinvolte e del loro diritto a poter esercitare la libertà religiosa e di culto.