Le Ong non sono “taxi”: sono aumentati i salvataggi in mare da parte di imbarcazioni delle Ong (da 1% del 2014 a 41% nel 2017), ma “non esiste una correlazione tra le attività di soccorso in mare svolte dalle Ong e gli sbarchi sulle coste italiane”. Lo chiarisce l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) che oggi ha pubblicato un “fact checking”, una serie di “dati oggettivi” che fanno il punto della situazione sulle migrazioni nel 2018. A determinare il numero di partenze tra il 2015 e oggi sembrano essere stati altri fattori, tra cui, per esempio, le attività dei trafficanti sulla costa e la “domanda” di servizi di trasporto da parte dei migranti nelle diverse località libiche. In “emergenza” è ancora il sistema di accoglienza in Italia e, se negli anni i posti a disposizione dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) sono aumentati (da meno di 4mila nel 2012 a circa 25mila nel 2017), il sistema è ancora lontano dall’offrire un numero sufficiente di posti rispetto alle richieste d’asilo. Nel 2017, infatti, l’86% dei richiedenti asilo e rifugiati accolti dal sistema di emergenza e di prima accoglienza non si trovava in strutture Sprar. Quanto ai ricollocamenti la solidarietà europea è pari solo “al 4% degli sforzi italiani”, perché le promesse non sono state mantenute ma, in ogni caso, anche con le quote definite “più di 9 migranti sbarcati su 10 sarebbero rimasti responsabilità dell’Italia”. Neppure le risorse finanziarie destinate dall’Europa all’Italia per far fronte all’emergenza sono state sufficienti: nel 2017, gli aiuti Ue hanno coperto “meno del 2% dei costi dello Stato italiano per gestire il fenomeno migratorio”.