Il sistema italiano dei rimpatri non funziona: tra il 2013 e il 2017 l’Italia ha rimpatriato solo il 20% dei migranti a cui è stato intimato di lasciare il territorio. Questo perché l’Italia ha emesso decreti di espulsione in massima misura nei confronti di persone con nazionalità africana (49% Nordafrica; 18% Africa subsahariana) e pochi sono gli accordi di riammissione sottoscritti con i Paesi africani. È quanto afferma l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) che oggi ha pubblicato un “fact checking”, una serie di “dati oggettivi” che fanno il punto della situazione sulle migrazioni nel 2018. Se nulla cambia, gli arrivi dall’Africa non diminuiranno, al contrario: aumenta esponenzialmente la popolazione subsahariana e se la tendenza a lasciare il proprio Paese resta la stessa degli ultimi anni (il 2,5% della popolazione), “il numero di migranti internazionali provenienti dall’Africa subsahariana crescerà da 24 a 54 milioni” in tutto il mondo entro il 2050. Se resta invariata anche la propensione a raggiungere l’Europa, “circa 7,5 milioni arriveranno in Europa entro il 2050, 220.000 persone all’anno, equivalenti all’1,5% della popolazione dell’Ue e al 12% della popolazione italiana”. Perché la migrazione si fermi è necessario che i Paesi superino un reddito medio pro capite di circa 5.000 dollari annui (nel 2016 nei paesi dell’Africa subsahariana il reddito pro capite medio era inferiore a 3.500 dollari annui). Una possibilità è che riprendano le migrazioni intra-regionali se si innesca lo sviluppo dei Paesi africani. Sono però “necessari aiuti di importo molto consistente”: gli aiuti ufficiali allo sviluppo da parte dei paesi Ocse verso l’Africa subsahariana sono invece rimasti a un livello praticamente invariato dal 2010, e quelli italiani si sono addirittura ridotti di oltre il 70%.