Il Regolamento di Dublino su cui sta discutendo l’Europa, che riguarda la mobilità interna dei migranti oltre al Paese di arrivo in cui sono costretti a fermarsi, “era un accordo ingiusto e non positivo per l’Italia e rischia di diventare ancora più ingiusto e negativo”. Lo ha affermato oggi pomeriggio a Roma il ministro dell’interno Marco Minniti, durante la sua conferenza su “Immigrazione, accoglienza e integrazione” nella sede della Sioi (Società italiana per l’organizzazione internazionale). A parte l’orientamento poco favorevole del dibattito sull’accordo di Dublino, Minniti ha giudicato “positivo che la Commissione Ue abbia stanziato 50 milioni di euro per aiutare 14 città libiche con cui l’Italia ha fatto un patto”. Il ministro dell’Interno ha ricordato poi che “se l’Europa interviene in Africa è perché fa i suoi interessi” nell’ambito della “sicurezza”, dei “flussi migratori” e delle “ricchezze di risorse”. In materia di accoglienza ha rinnovato l’intenzione – nei limiti della durata di questo governo – “di accorciare a 6 mesi i tempi dalla richiesta d’asilo fino alla decisione delle Commissioni territoriali, per questo sono state moltiplicate e abbiamo assunto 250 nuovi operatori”. “L’obiettivo che stiamo perseguendo è la chiusura dei grandi centri di accoglienza – ha ribadito – a favore dell’accoglienza diffusa nei territori e nei piccoli centri”. L’integrazione, in questo senso, è il punto cruciale: “Solo se le società moderne sapranno integrare i migranti avranno un futuro migliore – ha sottolineato -. La stragrande maggioranza degli attentati in Europa sono stati compiuti da europei, figli di una imperfetta o mancata integrazione”. A questo scopo, ha proseguito, “è fondamentale avere una certa cura nei rapporti con l’islam italiano, in modo da dialogare con un unico interlocutore”. Da qui l’importanza del Patto con l’islam firmato da tutte le organizzazioni islamiche in Italia, sunnite o sciite, nel quale si impegnano a “rendere noti i nomi degli imam e i canali di finanziamento delle nuove moschee; a prediche in italiano e luoghi di culto aperti al pubblico” . “È importante, per la sicurezza e per l’integrazione – ha concluso -, che chi è di un’altra religione si senta profondamente italiano”.