“In questo momento la libertà di stampa nel mondo è seriamente a rischio. Nell’Afghanistan 9 giornalisti pochi giorni fa hanno perso la vita per documentare ciò che continua ad accadere in quel Paese. Non si può non ricordare Daphne Caruana Galizia, saltata in aria con un’autobomba proprio come sarebbe dovuto accadere a me. Con lei ci scrivevamo spesso. E neppure Jan Kuciak, anch’egli probabilmente ucciso da mano mafiosa”. Lo dice al Sir Paolo Borrometi, presidente dell’associazione Articolo 21 e giornalista che vive sotto protezione dopo una serie di “condanne” a morte da parte della mafia, nella Giornata mondiale per la libertà di stampa. “Il direttore del giornale per cui lavorava Kuciak mi raccontava che stava seguendo delle piste che portavano la ‘ndrangheta in Slovacchia, nel caso di Daphne sono gli inquirenti a dire che forse quell’esplosivo utilizzato nell’autobomba proveniva dalla Sicilia – aggiunge –. Quindi, questo testimonia come la libertà di stampa vive seriamente nel mondo un momento di difficoltà”. A conferma di ciò Borrometi cita le classifiche di Reporter senza frontiere. Poi, lo sguardo al nostro Paese, dove “le intimidazioni sono costanti”. “Ormai colpire il cronista non è solo proprio delle mafie ma anche di piccoli potenti di turno. Ed è diventato quasi un tiro al piccione con troupe aggredite e colleghi insultati sui social network. Minacce mafiose costringono una decina di colleghi assieme a me a vivere sotto costante protezione delle forze dell’ordine, che ringrazio”. “Ci lamentiamo spesso dello Stato e di quello che non va – afferma il cronista –, ma nel mio caso sono vivo grazie allo Stato. Le forze dell’ordine di Ragusa e Siracusa e la magistratura di Catania sono riuscite a prevenire quello che era un attentato pianificato in ogni dettaglio”.