
“In questi giorni tutti parlano dell’Ilva, in Italia e all’estero, ma vorrei che ogni discorso ripartisse da qui, da questa Pietà tutta tarantina, per rendere giustizia ad Angelo e a tutte le vittime del lavoro, per comprendere la sofferenza di una città che ha bisogno di certezze, che ha diritto alla vita”. È il messaggio che l’arcivescovo della diocesi di Taranto, mons. Filippo Santoro, impegnato in Vaticano per l’assemblea dei vescovi, ha inviato per i funerali dell’operaio dell’indotto Ilva, Angelo Fuggiano, morto sul lavoro qualche giorno fa. A piangerlo, nella chiesa della Città vecchia consacrata alla Madonna Addolorata, due quartieri interi, Tamburi ed isola, ma anche le istituzioni civili e militari. Migliaia di persone, stipate sotto la grande scalinata, con alle spalle le ciminiere dell’Ilva, hanno aspettato il feretro all’uscita. Fuggiano era un meccanico. Lavorava al quarto sporgente del porto, da decenni in concessione ad Ilva. Ventotto anni e due bambini di 3 e 4 anni, solo da qualche settimana era stato assunto da una ditta dell’appalto Ilva, con un contratto a tempo determinato di pochi mesi. “La celebrazione che avviene nella Chiesa di san Domenico, lì dove è venerato il simulacro della Vergine Addolorata, la Madonna del popolo della Città dei Due Mari, ci richiama aldilà di qualsiasi parola fuori posto, la dura realtà del dolore e della perdita. La presenza della Madre di Gesù trafitta dalla visione del Figlio suo morto sulla croce, colma ogni interpretazione e ci fa sentire uniti gli uni agli altri in un ecumenismo delle lacrime, che è difficile da spiegare, ma che imprime di per sé il moto del pellegrinaggio, del dolore sì ma non della rassegnazione, della verità della morte ma non della sua vittoria definitiva”, ha chiosato il vescovo. Le esequie sono state celebrate dal vicario generale della diocesi ionica, mons. Alessandro Greco.