“Intendiamo favorire e accompagnare nelle nostre comunità un cambiamento di mentalità, che coniughi l’esperienza della fede con una cultura plasmata dalla comunicazione”. È l’impegno rinnovato questa mattina da don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali (Ucs) della Cei, introducendo alla Pontificia Università Lateranense di Roma l’incontro dei direttori degli Uffici diocesani delle comunicazioni sociali. “Ne è condizione – ha spiegato – la nostra capacità di conoscere e capire, interpretare e abitare questo tempo, disposti a lasciarci provocare anche a un ripensamento della nostra azione pastorale e della nostra stessa presenza ecclesiale”. “Credo – ha commentato – che l’assemblea di tutti i nostri vescovi che si apre qui a Roma tra dieci giorni debba arrivare a questo punto o almeno porre delle tracce di cammino per il prossimo futuro”. Don Maffeis ha indicato tra le tante, tre attenzioni emblematiche. Innanzitutto, lo sviluppo del “senso critico, necessario per una ricerca sincera della verità”. Poi, “la nostra cura per le relazioni”. “Il contesto di forte socialità della Rete – ha spiegato – ci trova tutti a condividere in tempo reale le nostre biografie individuali, a promuovere lo storytelling di noi stessi”. Per questo, “intendiamo farci promotori di una cultura che trova la sua forza nella capacità di ‘trascendere se stessi per aprirsi alla parola e alla storia dell’altro’”, come ha invitato a fare Papa Francesco nell’udienza ad Avvenire, “quindi nel nostro tenderci il più possibile verso di lui, senza smarrire per questo le nostre radici, la nostra storia, la nostra identità. Una cultura dell’incontro, quindi, nel segno della reciprocità”. Infine, “la disponibilità e la fiducia a educare ancora”. “Rispetto all’orizzontalità a cui la Rete ci consegna – ha osservato don Maffeis – non ci sentiamo detronizzati, né impotenti o rassegnati, afoni, ma pronti a riconoscerci partecipi del percorso di crescita delle persone che la vita ha affidato alla nostra responsabilità”. “Attenti – ha aggiunto – a coglierne le domande profonde, capaci di maturare insieme una consapevolezza circa i tempi, gli spazi e i contenuti dell’online; capaci, soprattutto, di proporre iniziative integrative, attività culturali, artistiche, musicali, teatrali, spirituali”. “Come adulti – ha rilevato – significa anzitutto educare noi stessi per tornare a generare, convinti che la prima competenza di cui c’è bisogno è quella di aiutarci a valorizzare le potenzialità della cultura digitale, abitandola con la ricchezza della nostra esperienza umana ed ecclesiale e con la responsabilità del nostro comportamento e del nostro lavoro”.