Nel 75° anniversario della rivolta nel ghetto di Varsavia (1943), scoppiata contro lo sterminio pianificato e messo in atto da nazifascismo tedesco, domani, giovedì 19 aprile, suoneranno le campane di tutte le chiese militari sull’intero territorio nazionale polacco. L’insurrezione, che durò per quasi un mese, fino al 16 maggio del 1943, fu la prima rivolta armata scoppiata contro l’invasore nazista in una delle città occupate. Nel gennaio del 1942, durante la conferenza di Wannsee, venne decisa e pianificata la soluzione finale della questione ebraica: furono attivati i campi di sterminio di Bełżec, Sobibór e Treblinka e iniziarono i “trasferimenti” anche dal ghetto di Varsavia. Della popolazione del ghetto di circa 70mila persone, circa 13mila furono gli ebrei uccisi durante la rivolta. Alle vittime dei combattimenti vanno aggiunti i 6.929 combattenti prigionieri che furono trasportati e uccisi a Treblinka. I rimanenti 42mila superstiti furono inviati in vari campi di concentramento. La maggior parte di coloro che giunsero nei campi di Majdanek, Poniatowa e Trawniki trovò la morte nel novembre 1943 nel corso dell’Operazione Erntefest. Solo poche migliaia tra coloro che furono inviati nei campi di Budzyn e Krasnik sopravvissero all’Olocausto. La commemorazione della rivolta, partecipata dalle massime autorità statali, è prevista a Varsavia davanti al monumento agli Eroi del Ghetto. Le celebrazioni tuttavia suscitano in questi giorni proteste da coloro che accusano la politica di strumentalizzare la tragedia e usarla per fini che esulano dalla storia.