Tra il mondo della scuola, “che ha una struttura propria ed è istituzione”, e quello ecclesiale, “fatto di relazioni più spontanee e libere”, c’è ancora una certa distanza. Ma “la scuola, e l’insegnamento della religione cattolica in particolare, possono utilmente far crescere il riconoscimento delle età della vita e aiutare chi sta nel territorio a capire che esistono bisogni specifici”. Ne è convinto don Michele Falabretti, responsabile del Servizio Nazionale per la pastorale giovanile, per il quale occorre “costruire un ponte nell’ascolto e nella collaborazione”. Soprattutto perché “tra pastorale giovanile e scuola c’è una vicinanza naturale in quanto entrambi sono ambiti di vita, lavoro, intervento, passione che hanno al centro la cura per le stesse persone, cioè i ragazzi”.
Secondo don Falabretti, che è intervenuto al Convegno nazionale dei responsabili diocesani e regionali della pastorale della scuola e dell’Irc, “la scuola ha aiutato la Chiesa a capire che non può esserci educazione che si astrae dal mondo e continua a dire molto al nostro modo di fare pastorale, di concepire la relazione con i ragazzi, del nostro modo di fare Chiesa e di provare a portare il Vangelo nel nostro tempo”. Non solo: “l’Irc – ha osservato il responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile – ci ha aiutato e abilitato nell’esercizio del dialogo, nella capacità di non considerarci i padroni del mondo: gli insegnanti di religione hanno costretto la comunità cristiana ad entrare in una dinamica di collegialità, di rispetto di alcune regole a cui in parrocchia si è poco abituati, di rispetto delle competenze”.