Esercizi spirituali Curia Romana: nona meditazione, “ascoltare la sete delle periferie”

“Dov’è nostro fratello?”. A partire dalla domanda di Dio nella Genesi scaturisce la nona meditazione degli esercizi spirituali per il Papa e i collaboratori della Curia Romana, in corso ad Ariccia, dedicata ad “ascoltare la sete delle periferie”. L’invito di don Josè Tolentino Mendonça, vicerettore dell’Università Cattolica di Lisbona, è quello di “guardare ad occhi ben aperti la realtà del mondo che ci sta intorno” e di cercare nostro fratello tra i poveri e gli ultimi del mondo, non separando la “sete spirituale” dalla “sete letterale”. Uno dei criteri per capire cos’è “centro” e cosa è “periferia” nel mondo, è infatti proprio l’accesso all’acqua, diritto inalienabile della persona. Come già affermato nella Laudato Si’ e ribadito dai dati delle organizzazioni internazionali, oltre 2 miliardi di esseri umani non hanno la possibilità di fruire di acqua potabile. Di qui l’urgenza di “adottare un’autentica conversione degli stili di vita e di cuore”, “che vada in direzione contraria alla cultura dello spreco e della diseguaglianza sociale”.
In questo contesto “la Chiesa non deve aver paura di essere profetica e di mettere il dito nella piaga” e non può che confrontarsi con le periferie del mondo. “Gesù stesso è un uomo periferico”, essendo nato nella periferia della Giudea, a sua volta periferia di Israele e dell’impero. E alle periferie si rivolge, dando dignità ad ammalati, ossessi, poveri, stranieri e peccatori. “La periferia è nel Dna cristiano, lo avvicina al suo contesto originario, ma anche al suo programma. È una chiave indispensabile per la sua ermeneutica spirituale ed esistenziale. In tutte le epoche rimarrà, per l’esperienza cristiana, il luogo privilegiato dove incontrare e reincontrare Gesù”.
Il cristianesimo stesso è poi per sua natura una “realtà periferica”. Non a caso, “la vitalità del progetto cristiano si gioca nelle periferie”, “dove spesso non c’è neppure la presenza di una chiesa in muratura e dove tutto è più precario, rarefatto o appena abbozzato”. Per la Chiesa la periferia è quindi un orizzonte e non un problema ed è dove può uscire da se stessa e riscoprirsi. “La scelta dell’incontro con le periferie non è unicamente un imperativo della carità, è una mobilitazione storica e geografica che consente l’incontro con ciò che il cristianesimo è stato e con ciò che esso è. Anche le periferie della Chiesa hanno sete: di essere ascoltate”.
La Chiesa deve evitare il “terribile scisma” tra “quello che separa il sacramento dell’altare dal sacramento del fratello, quello che pericolosamente allontana il sacramento dell’eucarestia dal sacramento del povero. Le periferie esistenziali tuttavia non sono solo economiche – conclude don Mendonça – e sappiamo tutti come tra noi e chi sta al nostro fianco ci siano spesso distanze infinite da abbracciare e sconfiggere”. Le periferie “non sono solo luoghi fisici, sono anche punti interni della nostra esistenza, sono luoghi dell’anima che hanno bisogno di essere pascolati”.

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