Immigrazione

Decreto sicurezza: Palma (Garante persone private della libertà), un elenco dei Paesi di origine sicuri è “di difficile attuazione”

Il decreto sicurezza, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 3 dicembre scorso, prevede la predisposizione da parte del ministero degli Esteri, di concerto con i ministeri dell’Interno e della Giustizia, di un “elenco dei Paesi di origine sicuri”, con un richiamo alla direttiva europea sui rimpatri. Un provvedimento, questo di difficile attuazione, secondo Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà. “Da sempre in sede internazionale la predisposizione di elenchi di Paesi ritenuti presuntivamente sicuri è stata più produttrice di difficoltà e di rischi per le persone coinvolte che non di agevolazione di possibili e dovuti rimpatri – afferma in una nota –. Le domande di protezione, inoltre (riguardando esse il destino e, quindi, la vita delle persone) devono sempre essere valutate individualmente, e non sulla base di criteri generali, quale è quello della origine presuntivamente sicura”. Pur riconoscendo la possibilità per i Paesi dell’Ue di compilare un elenco di presunti Paesi sicuri, Palma ricorda anche che “al migrante proveniente da un Paese incluso nell’elenco dei presunti Paesi sicuri debba essere garantita la possibilità di invocare la sussistenza di gravi motivi di pericolo per evitare il rimpatrio nel proprio Paese”. “Al contrario – aggiunge –, il testo approvato dal Parlamento italiano prevede per il richiedente l’onere di dimostrare la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro per sé il proprio Paese. Con il decreto sicurezza, la provenienza da un presunto Paese sicuro, inoltre, implica in ogni caso l’utilizzo di una cosiddetta procedura accelerata per l’esame della richiesta di protezione. Tale procedura offre minori garanzie per il richiedente in quanto viene espletata in tempi più ristretti, che comprimono sensibilmente alcune garanzie”.
Palma aggiunge, inoltre, che “occorre ricordare a tutte le autorità coinvolte nei diversi passaggi valutativi della singola domanda di protezione che, qualora il richiedente abbia subito torture o trattamenti disumani in Paesi di transito, tale circostanza deve essere considerata rilevante ai fini della decisione sul riconoscimento di una protezione”.