
(da Palermo) – “Negli ultimi tempi ci chiamano in continuazione. Ci chiedono di dare alloggio ai ragazzi migranti buttati fuori dai centri. Nessuno affitta loro case perché i permessi per motivi umanitari non ci sono più. Non possiamo lasciarli dormire in strada”: a parlare al Sir è Anna Cullotta, responsabile dell’area promozione umana di Caritas Palermo. Purtroppo gli effetti del decreto sicurezza e immigrazione si sono fatti sentire anche in Caritas, che tra i vari servizi gestisce un Centro d’ascolto diocesano che segue decine di famiglie del quartiere; gli immigrati sono oramai alla terza generazione. Nella sala d’attesa ci sono due mamme africane con bimbi piccoli, chiedono scarpe per i figli. “Li aiutiamo a pagare le bollette o a cercare un lavoro, diamo medicine, assistenza sanitaria, seguiamo le vittime di tratta e i giovani con problemi di salute mentale”. La Caritas ha una struttura con 25 posti letto e una mensa dove mangiano a turni di 50 nella zona della stazione centrale. “Ora apriremo altre realtà di accoglienza, perché i posti non sono sufficienti. E non permettiamo di dire a nessuno che noi aiutiamo solo i migranti: la nostra priorità sono le persone”. La caratteristica della società civile palermitana è che tutti collaborano con tutti per gli obiettivi comuni, avendo chiara la propria identità e i valori. Fino a un anno fa si ritrovavano sulle banchine del porto per dare assistenza agli sbarcati. Poi con la chiusura dei porti la cittadinanza ha reagito con smarrimento. Dopo una serie di messaggi criminalizzanti mai confermati da riscontri reali “ora il pregiudizio c’è – osserva Cullotta -. Secondo la gente se un ministro o un giudice fa un’affermazione forte, a maggior ragione in tv, diventa un fatto quasi indiscutibile. E anche se poi le dichiarazioni vengono smentite, il tarlo rimane”. Cullotta, che è anche psicoterapeuta, spiega quanto la paura tocchi “corde personali e familiari presenti in ciascuno di noi, chi più, chi meno”. “Nell’attuale congiuntura socio-economica, il capro espiatorio dei migranti ha un effetto quasi magico – sottolinea -. Il linguaggio è riuscito a fare scempio”. Anche per la Chiesa di Palermo, dunque, ora la sfida è lavorare per smontare pregiudizi e falsità e “nutrire la sensibilità delle comunità”.