“Non se ne può più, ogni 16 marzo e ogni 9 maggio, di vedere i racconti come se fossimo rimasti con l’orologio della storia al 1980 con l’aggravante di dover sopportare che i criminali che hanno ammazzato Moro senza pietà, dopo 40 anni, facciano le star, ci dicano la loro versione e non sentano il dovere morale di dire chi l’ha ammazzato e come l’ha ammazzato. Non basta il perdono e se non sentono il bisogno di dire la verità su quello che è successo, smettano di andare in tv e chi li invita smetta di invitarli perché è troppo”. Lo ha affermato questo pomeriggio Giuseppe Fioroni, nella scorsa legislatura presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro, chiudendo nella sala Koch del Senato della Repubblica la presentazione del libro “Moro, il caso non è chiuso. La verità non detta” (Edizioni Lindau) scritto con la giornalista Maria Antonietta Calabrò. “La cosa importante che la Commissione ha evidenziato è che – ha spiegato Fioroni – il memoriale Morucci non era solo il memoriale di Morucci e Faranda ma era un lungo percorso politico e giudiziario che ha sviluppato una trattativa che personalmente capisco e comprendo perché la vicenda del terrorismo in Italia era arrivata ad un punto che bisognava trovare un modo per fermare il fiume di sangue”. La Commissione ha smontato il “verbale delle verità dicibili”. E da qui Fioroni è partito per indicare i risultati delle indagini condotte. Sottolineando che “nessuno persegue vendetta, ma per sentirci tutti più liberi invece del silenzio avremmo bisogno di chiarire tre o quattro cose”, Fioroni ha però osservato che sarà difficile “sapere molto di più di quello che siamo riusciti a sapere, perché poi diventa un depistaggio per esagerazione”. “Chi può aiutarci lo faccia – ha aggiunto -, perché una congiura del silenzio rende tutti meno liberi e questo non è all’altezza dell’Italia e degli italiani”.
Rispetto al fatto che le indagini della Commissione e il conseguente libro abbiano “aperto alcuni scenari nuovi che meritano attenzione” ha concordato anche Augusto D’Angelo, docente di Storia contemporanea all’Università “La Sapienza”, che – tra i vari aspetti sottolineati nel suo intervento – ha ricordato la “consapevolezza di Moro della fragilità della democrazia italiana”.
Per Maria Antonietta Calabrò, il sequestro e l’omicidio di Moro “sono stati una vicenda che ha cambiato il corso della storia italiana”, un “delitto che si inserisce dentro una logica del dopoguerra”. Nei giorni del sequestro – ha ricordato – “la linea ufficiale era quella della fermezza, ma varie trattative sono state fatte”. “Nel libro ci sono le prove – per esempio della ‘trattiva vaticana’ andata avanti fino al 9 maggio – ma nessuna di questa è andata in porto ed è risultato impossibile fare uscire Moro vivo” dal covo. Il volume “non è un libro di dietrologia”, ha assicurato Calabrò, che si è detta impressionata dall’“estrema solitudine di Paolo VI, che ha tentato con un trattativa fino alla fine” di salvare Moro: “ha fatto di tutto”.