Salute

Sanità: Bebber (Aris), “le strutture sanitarie private gestite da enti e congregazioni religiose sono a tutti gli effetti equiparate al servizio pubblico”

“Le strutture sanitarie private gestite da enti e congregazioni religiose sono a tutti gli effetti equiparate al servizio pubblico”. Lo afferma p. Virginio Bebber, presidente dell’Aris, l’associazione che riunisce le strutture socio sanitarie religiose, a margine di quanto dichiarato recentemente dal ministro alla Sanità, Giulia Grillo, in un’intervista in cui annunciava lo stanziamento di 4,5 miliardi di euro per la sanità nel prossimo triennio e l’abolizione “di un ostacolo all’accesso alle cure sanitarie che è il superticket”, un deterrente per i cittadini “per l’uso della sanità pubblica” che finisce per essere, secondo il ministro, un favoritismo per la sanità privata. Nel rimarcare che le strutture sanitarie aderenti all’Aris “svolgono, per legge, un servizio pubblico e alle stesse condizioni delle strutture pubbliche”, p. Bebber sottolinea che tuttavia “non godono delle stesse garanzie del pubblico (tipo il finanziamento per il rinnovo dei contratti) di cui invece dovrebbero, sempre per legge, godere”. “Soprattutto – aggiunge – non usufruiscono di quei famigerati “ripiani di fine esercizio” di cui godono le strutture pubbliche e che, alla fine dei conti, sono la causa vera della disastrosa situazione del sistema sanità del Paese poiché vanno a coprire, il più delle volte, buchi creati da corruzione e malasanità”. P. Bebber saluta con favore la proposta di abolizione di tickets e supertickets, ma puntualizza che sarebbe forse opportuno anche prendere coscienza del fatto che, se è veramente il bene del cittadino che si cerca, invece di soffermarsi a recriminare sulla presenza del privato in sanità e farne quasi il motivo del disastro del sistema, sarebbe forse più opportuno chiamare ad un tavolo i rappresentanti della sanità convenzionata non profit (le strutture Aris per esempio) – si potrebbero coinvolgere anche quelli della sanità convenzionata riuniti nell’Aiop – e provare a mettere insieme un progetto comune per eliminare liste d’attesa e per favorire l’accesso di tutti i cittadine alle cure”. “Se invece – aggiunge il presidente dell’Aris – si ritiene di poter fare a meno delle nostre 230 strutture – sempre per rimanere solo in casa nostra – dei nostri 26 Istituti scientifici, degli oltre 130 Centri di riabilitazione, dei 33mila posti letto, delle prestazioni ambulatoriali erogate a milioni ogni anno e tutto a regime di convenzione, cioè agli stessi costi del pubblico, basta farlo sapere. Allora forse la ministra si renderebbe conto che il rischio che si corre, cioè vedere sparire la sanità pubblica, non è certo dovuto alla quota 100 applicata ai medici”.