Cattolicesimo

Cina: La Civiltà Cattolica, le “rete dei migranti cattolici” e il nuovo protagonismo dei laici

I protagonisti del cattolicesimo cinese sono “quei cattolici, laici e intraprendenti, che sono passati dal paesaggio rurale alla crescita vorticosa delle città cinesi”. A spiegarlo, sull’ultimo numero de “La Civiltà cattolica”, in uscita il 3 novembre, sono il direttore, padre Antonio Spadaro, e Michel Cambon. “Centinaia di migliaia di cattolici, a partire dagli anni Ottanta, hanno lasciato i loro villaggi in cerca di opportunità migliori”, si legge nell’articolo: “Oggi molti di loro sono cittadini ben inseriti, che traducono anche il proprio impegno religioso in un nuovo stile di vita. Alcuni di loro stanno costruendo qualcosa che va oltre la tradizionale vita parrocchiale, e ciò è per lo più sconosciuto alla maggior parte di coloro che si interessano della Chiesa in Cina. Se è vero che le loro organizzazioni religiose si richiamano per qualche aspetto ad alcune comunità protestanti, è anche vero che conoscerne le caratteristiche e le dinamiche specifiche potrebbe essere utile a chi osserva la Chiesa in Cina”. “Senza dubbio queste nuove reti cattoliche urbane hanno acquisito una certa importanza e costituiscono un contributo rilevante per la Chiesa”, la tesi della rivista: “Con il loro reciproco sostegno e le loro risorse organizzative i migranti oggi riescono a raggiungere una consistente percentuale di cattolici in tutta la Cina urbana. Per esempio, in una città del Sud che conta 15 milioni di abitanti le diocesi locali posseggono soltanto quattro chiese storiche, tutte situate nel centro cittadino. Ma gli emigrati cattolici non ufficiali hanno già aperto più di dieci cappelle nei sobborghi della cintura urbana. In tali cappelle, piuttosto piccole, situate all’interno di fabbriche e di caseggiati residenziali, ogni fine settimana si riuniscono circa un migliaio di persone, mentre la diocesi ufficiale raccoglie tra 5.000 e 6.000 fedeli locali. Ma molti migranti cattolici fanno notare che la stragrande maggioranza dei loro compagni di fede non va più in chiesa”. I modi in cui i migranti cattolici strutturano la loro vita religiosa urbana variano notevolmente da un luogo all’altro, fanno notare gli autori dell’articolo: “Nelle città in cui esiste una Chiesa non ufficiale, i migranti cattolici si sono mostrati più inclini a relazionarsi con essa e, alla fine, a prendere parte alle sue attività. Ma il divario socio-culturale tra i fedeli cattolici locali e i migranti ha spesso spinto i nuovi arrivati a organizzare le proprie attività in maniera indipendente”. Nei luoghi invece in cui la Chiesa non ufficiale non era presente, di solito i migranti “sono stati disponibili ad avvicinarsi alla Chiesa ufficiale e a beneficiare del suo ministero sacramentale”: anche in questo caso, però, “il divario socio-culturale, le distanze da percorrere e l’intensa vita lavorativa dei migranti li hanno indotti a crearsi una propria rete nei sobborghi. Ciò fa capire che l’esistenza di reti alternative tra i migranti cattolici si deve soprattutto alla diversità che sussiste tra loro e la loro Chiesa locale”. Anche il contesto politico locale “ha profondamente influenzato la loro capacità di creare nuovi modi di essere cattolici urbani”, si legge nel testo: “In alcune città dove la pressione della polizia è forte, i migranti hanno dovuto scegliere se porsi sotto l’egida delle comunità locali (ufficiali e non), che di solito hanno rapporti migliori con i funzionari, o se mantenere le loro riunioni in una dimensione più ristretta e discreta. Dove il controllo locale è meno intenso, i migranti cattolici sono stati più inclini a sviluppare le loro attività in maniera autonoma rispetto alle Chiese ufficiali e non ufficiali che già esistevano”. In un’unica megalopoli, infine, “possono coesistere molteplici reti di migranti cattolici”, la cui forza e autonomia “dipendono dal numero di componenti e dalla percentuale di patrocinatori ricchi e ben inseriti”. “I migranti cattolici ci danno modo di osservare uno spostamento concreto e rapido del cattolicesimo cinese nella Cina urbana”, sostiene la rivista dei gesuiti: “Sebbene non esistano statistiche ufficiali sulla loro diffusione, e pur rimanendo nell’ombra di buona parte dei sondaggi, essi continuano a partecipare attivamente alla trasformazione attuale della Chiesa in Cina. Il loro principale punto di forza risiede nel sostegno reciproco, che consente a essi di trasmettere il loro patrimonio di fede alla generazione successiva. Le reti creative, flessibili e transregionali, a cui i migranti cattolici hanno dato vita, offrono un prezioso sostegno alle parrocchie e alle diocesi tradizionali della Chiesa in Cina. Il loro modo di comportarsi nelle grandi città aiuta la Chiesa a sviluppare nuove forme di presenza nella Cina urbana, fornendo inedite opportunità ai laici e ai ministri ordinati”.