“Molti genitori, a prescindere dalla loro religione, hanno la sensazione che la morte del figlio sia una punizione per una loro colpa”. A portare la propria testimonianza al seminario “Hospice neonatale: un senso alla vita breve” in corso al Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del matrimonio e della famiglia (Pontificia Università Lateranense) è don Luigi Zucaro, assistente spirituale presso l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “La sofferenza di un bambino scandalizza tutti e confligge con l’idea di un Dio buono – spiega -. Quale può essere allora il ruolo dell’assistente spirituale in un luogo come questo? Essere solidali, accompagnare sul piano umano, farsi compagni di viaggio”. A prescindere dalla religione “ci si sente porre la domanda del perché se Dio è buono e onnipotente permette che i bambini soffrano”. Ma, secondo don Zucaro, si tratta di “una domanda mal posta. Le persone spesso non hanno fatto una reale esperienza di Dio. Non serve una spiegazione ma una testimonianza”. Il cappellano allora “deve essere un uomo di fede che abbia fatto un’esperienza di Dio nella propria sofferenza, che come Giobbe possa dire: io ti conoscevo per sentito dire, ma ora ti conosco faccia a faccia”. Di qui la condivisione di un’esperienza. “Confidando nel potere che Dio ha di dare vita con la Sua parola, ci siamo messi in un’avventura impossibile: annunciare Cristo ai genitori che hanno perduto i loro figli, un progetto nato dall’ostinazione di credere che Dio può far risuscitare ogni cuore umano, anche quello di una mamma che ha perduto il proprio bambino”. Il gruppo, nato otto anni fa, si chiama “Tenuto per mano”. “Non si danno risposte – conclude don Zucaro -. I genitori si incontrano, piangono e pregano insieme. Stanno insieme”.