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Sinodo 2018: Ruffini, “la Chiesa non si deve ridurre a un dio-Google”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“La Chiesa non si deve ridurre a un ‘dio-Google'”. È una delle suggestioni dei padri sinodali, riuniti in Vaticano fino al 28 ottobre. Durante la VI e la VII Congregazione generale, ha riferito il prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, Paolo Ruffini, “si è parlato anche di cos’è la ricerca di Dio nel tempo dei motori di ricerca”. “Dio non è un calmante”, è stato detto: “La Chiesa deve essere un luogo dove regna l’inquietudine. Deve essere risvegliata, non sopita”, percorrendo “un cammino per risvegliare i cuori, e non i muscoli”. Tra le curiosità del dibattito sinodale, Ruffini ha citato inoltre un celeberrimo scambio di battute tra Napoleone e il cardinale Consalvi. “Distruggeremo la vostra Chiesa”, le parole di Bonaparte riferite al cardinale: “Sono venti secoli che ci proviamo e ancora non ci siamo riusciti”, la risposta autoironica di quest’ultimo. Dalle Aule del Sinodo, intanto, è risuonata la volontà di “lasciarsi dietro una Chiesa seduta, che aspetta”, a favore di “una Chiesa in uscita, che deve essere tutta giovane”, e non soltanto rivolgersi ai giovani. Nel dibattito della seconda settimana del Sinodo – appena cominciata e dedicata alla seconda parte dell’Instrumentum laboris, dedicata al discernimento e all’accompagnamento – hanno trovato posto, tra gli altri temi, anche la politica, con il desiderio di “costruire con i giovani un’alleanza profetica” che si nutra di “senso critico nei confronti della cultura dominante” oltre che di “impegno per il bene comune”. L’auspicio, hanno detto i padri sinodali citando don Tonino Bello, è di avere giovani “contempl-attivi”, evitando che i luoghi dove si fa pastorale giovanile “si trasformino in luoghi di incontro di amici per passare bene il tempo, senza alcun tipo di impegno e militanza”. Sul versante della pastorale familiare, è stato auspicato un “catecumenato per il matrimonio”: “La Chiesa ha anche fallito, nell’accompagnamento dei futuri sposi”, è stato detto, “non si può ridurre il ‘per sempre’ ad una cerimonia”.