“Certo, non mancano esperienze positive di accoglienza e integrazione, così come un patrimonio di principi di riferimento riconosciuti a livello internazionale, a partire dal corpus dei diritti umani. È altrettanto chiaro che è in gioco la vita di molte persone e intere comunità. Ma questo non può farci misconoscere la potente carica conflittuale che si scatena a ogni livello, ben al di là dei fatti di cronaca che si ripetono con frequenza crescente”. Lo scrive Giacomo Costa, gesuita, direttore di “Aggiornamenti sociali” nell’articolo intitolato “Migranti: pensare localmente e agire (anche) globalmente” che appare nel nuovo numero della rivista. “Il conflitto intorno alle migrazioni attraversa la politica nazionale di tutti i Paesi, così come i rapporti tra Stati, anche all’interno di un’area relativamente coesa come l’Unione europea. Persino tra coloro che condividono l’impegno per i diritti degli immigrati non mancano le contrapposizioni sul modo migliore di portare avanti le proprie posizioni”. “La carica conflittuale legata alle migrazioni è ben più profonda di tutto ciò: come evidenziano le ricerche sociologiche, nell’arco degli ultimi vent’anni – scrive Costa – il tema dell’immigrazione ha infatti ristrutturato radicalmente i conflitti sociali e gli spazi politici, così come l’immaginario collettivo, che tra l’altro raramente percepisce correttamente le dimensioni reali dei fenomeni. Oggi il tema dell’immigrazione ha assunto una valenza strutturale e strutturante per la nostra società e i conflitti sociali si coagulano in larga parte attorno ad esso”.
Quindi il gesuita aggiunge: “Volenti o nolenti, siamo già una società dell’immigrazione e proprio per questo è pericoloso continuare a trattare la materia solo nella prospettiva e con il lessico dell’emergenza, cercando di tappare i buchi e arginare le falle. Per affrontare i conflitti e le tensioni collegati ai flussi migratori è necessario infatti pensare e agire a ogni livello, senza dimenticare quello globale”. “È proprio l’analisi dei processi locali che ci conferma infatti che non possiamo fare a meno di forme di governance globale dei processi migratori… Senza un quadro sovranazionale per risolvere i conflitti (bellici, economici, ambientali, ecc.) che generano la spinta a emigrare, producendo flussi di rifugiati, profughi e migranti, ogni soluzione su altra scala (dai respingimenti alle quote) faticherà a funzionare”.