
“La Chiesa è fatta di uomini con storie, sensibilità e cultura diverse. Accomunati, ci si augura, dalla stessa voglia di servire il Vangelo che, quando viene meno o non ha motivazioni forti, li colloca – questi uomini – su posizioni inaccettabili all’interno e all’esterno della stessa Chiesa, oltre che agli occhi del cosiddetto mondo”. È quanto scrive mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, sul numero odierno de “Il Sole 24 Ore” – nella rubrica settimanale “Testimonianze dai confini” – in un articolo intitolato “Il dialogo necessario dentro la Chiesa”. Prendendo spunto da una recente intervista del vaticanista Luigi Accattoli e dalla partecipazione ad un momento di formazione ad Assisi, organizzato dalla Pro Civitate Christiana, mons. Galantino evidenzia “la complessità di questo nostro tempo, che continuo a considerare come opportunità e non come problema”. “Un tempo – aggiunge – che invita a prendere l’iniziativa (‘primerear’, ama dire Papa Francesco) e a osare”. “Il Papa è chiaro”, prosegue il segretario generale della Cei, richiamando il fatto che “dinanzi a una società ferita e stanca, la Chiesa deve tornare sulla strada, in una condizione di mendicanza, deve essere in grado di abitare su quella frontiera esistenziale e geografica dove concretamente si incontra, si abbraccia, si accompagna l’umanità”. “Prendendo ovviamente le distanze – rileva – dall’individualismo che continua a intaccare le radici dell’umano costituendosi come forma della cultura di tanta parte del mondo, dove l’altro è una possibile minaccia prima di essere un uomo; dove la comunione non è un fatto spontaneo in quanto si deve confrontare, se non scontrare, con la paura dell’altro, che patologicamente si tramuta in paura verso ogni forma di alterità, fino al punto da identificare la differenza con la divisione”. Nell’intervista a Linkiesta.it, Accattoli affermava che oggi “la Chiesa non è più divisa di prima, siamo nella tradizione”. Per Galantino, “la differenza deve essere mantenuta, perché è buona”, come dichiarava san Massimo il Confessore; “la divisione è una perversione della differenza, ed è cattiva”. “Quando si mistifica il conflitto, o si trasforma la differenza in divisione attraverso l’emarginazione o il rigetto dell’altro, noi moriamo”, conclude.